venerdì 20 dicembre 2013

LO STUDIO PASERIO AUGURA...


Lo studio rimarrà chiuso per ferie nei giorni 24 - 27 e 31 dicembre.
Le pubblicazioni riprenderanno dal 7 gennaio 2014.

NOZIONE DI TRASFERIMENTO EX ART. 37 C. 4 DEL D.LGS. N. 81/2008 E FORMAZIONE DEL LAVORATORE

Il trasferimento del lavoratore costituisce un istituto di frequente utilizzo e consiste nel mutamento definitivo del luogo in cui lo stesso deve rendere la propria prestazione. Il diritto del datore di lavoro di disporre il trasferimento sorge dopo la conclusione del contratto di lavoro ed è espressione del suo potere gerarchico e direttivo. 
Secondo l'art. 2103 c.c., il lavoratore non può essere trasferito da un'unità produttiva a un'altra se non per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive, a meno che lo stesso sia stato richiesto dal lavoratore medesimo in base a proprie personali esigenze e a seguito di propria scelta e valutazione.
Invece, nel caso di trasferimento disposto da datore di lavoro non sorretto da ragioni tecniche, organizzative e produttive, lo stesso risulta nullo. 

Recentemente, con la Nota del 27 novembre 2013 n. 37/0020791, il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali ha fornito indicazioni in merito alla necessità di provvedere alla formazione ex art. 37 c. 4 lett. b) del D.Lgs. n. 81/2008 riguardo lavoratori che siano stati meramente trasferiti da un servizio all’altro (reparto o ufficio) della medesima azienda mantenendo la stessa qualifica.
Nello specifico, il sopraccitato articolo dispone l’obbligo, da parte del datore di lavoro, di provvedere alla formazione e, ove previsto, all'addestramento specifico, che devono avvenire in occasione, tra l’altro, del trasferimento o cambiamento di mansioni.
Dal testuale disposto normativo si evince come risultino tassativamente indicati i casi in cui sussiste l’obbligo di provvedere all’addestramento specifico del lavoratore; in particolare, dalla lettura dell’art. 37 emerge che i casi in cui è previsto l’obbligo formativo si caratterizzano per una sostanziale variazione dei rischi cui potenzialmente potrebbe essere esposto il lavoratore in relazione al suo inserimento nell’organizzazione lavorativa dell’azienda ed alle caratteristiche che contraddistinguono le competenze acquisite dal lavoratore medesimo, tali da richiedere un adeguamento formativo.
È bene sottolineare che in base al dettato del sopraccitato articolo, l’obbligo che sorge in capo al datore di lavoro è correlato al concetto di trasferimento da un servizio all’altro all’interno della medesima azienda o mutamento di mansione e non alla variazione di qualifica contrattualmente individuata.

Alla luce di queste premesse, il Ministero sottolinea come in presenza di trasferimento del lavoratore si erga la necessità di integrare la formazione già impartita in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro la quale dovrà essere nuovamente valutata in relazione all’effettiva prestazione cui sarà adibito il prestatore di lavoro.
Dovranno, infatti, essere ridiscussi i rischi ai quali il lavoratore potrebbe essere esposto e nei confronti dei quali non sia stato precedentemente formato, ad esempio perché connessi a nuove procedure operative e di emergenza da rispettare; inoltre dovrà essere preso nuovamente in considerazione il luogo di lavoro ove il prestatore svolgerà la sua opera, a causa delle probabili e sostanziali differenze nella nuova postazione di lavoro e delle relative dotazioni nonché della variazione dell’ubicazione delle vie e delle uscite di emergenza. 

Quindi, in conclusione, il presupposto del trasferimento, da solo, non risulta idoneo ad imporre un obbligo formativo ex novo in capo al datore di lavoro poiché, indipendentemente dal trasferimento stesso, sarà necessario effettuare un approfondimento in ordine alle mansioni effettivamente assegnate al lavoratore in quanto la necessità di sottoporre lo stesso ad un nuovo iter formativo nasce dall’insorgenza di nuovi rischi specifici correlati, non tanto alla veste contrattuale che si è deciso di adottare (trasferimento, mutamento di mansioni, ecc.), bensì alla necessità di salvaguardare la sicurezza e la salute del lavoratore che si accinge a svolgere una prestazione lavorativa novellata nel suo aspetto “antinfortunistico” e per la quale lo stesso ha il diritto di ricevere un’adeguata formazione.

Pertanto, in sintesi, è possibile riassumere quanto sopra esposto fornendo le seguenti linee guida:
-         qualora le mansioni non subiscano alcun mutamento è fatto obbligo al datore di lavoro di provvedere esclusivamente alla programmazione degli aggiornamenti previsti dalla normativa in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, anche sulla scorta del documento di valutazione dei rischi, al fine di mantenere e di implementare il patrimonio formativo del lavoratore;
-         qualora il trasferimento comportasse anche una modifica delle mansioni, il lavoratore dovrà essere sottoposto ad una formazione specifica ulteriore rispetto a quella già entrata a far parte del proprio bagaglio formativo.

venerdì 13 dicembre 2013

DISTACCO E CONTRATTO DI RETE D’IMPRESA

La disciplina del distacco è contenuta nell’art. 30 del D.Lgs. n. 276/2003, il quale ne definisce anche le condizioni di legittimità che si sostanziano nell’interesse del datore di lavoro distaccante, nella temporaneità intesa non come predeterminazione della durata ma come sua “non definitività” e, ovviamente, nell’esecuzione di una determinata prestazione lavorativa.
Normalmente è il requisito del soddisfacimento di un interesse in capo al distaccante/datore di lavoro che costituisce l’aspetto più soggetto a contestazioni da parte degli organi ispettivi ed è a proposito di tale parametro che si genera un onere delle prova in capo al medesimo soggetto. 
È contemplato ogni interesse di tipo produttivo in capo al distaccante, purché questo non consista nella mera somministrazione di lavoro o in un interesse esclusivamente di tipo economico; inoltre l’interesse deve perdurare per tutta la durata del distacco in quanto il suo venir meno per l'avvenuto soddisfacimento dello scopo o il suo cessare, determina l'immediata carenza di un requisito sostanziale e ne comporta l'illegittimità qualora si prolunghi oltre.
In deroga a quanto sopra esposto, si rammenta che l'interesse al puro e semplice risparmio del costo del lavoro (mediante rimborso a carico del distaccatario) è ammesso nelle sole aziende in crisi, con l’intento di evitare il licenziamento dei dipendenti e previo accordo sindacale.
Pertanto, mentre da un lato è ammesso il rimborso di quanto speso dal datore di lavoro per la prestazione resa dal dipendente in favore del distaccatario, è invece assolutamente vietato farsi rimborsare dal distaccatario più di quanto effettivamente speso per la prestazione del distaccato, poiché questo identificherebbe una sorta di “remunerazione per l’attività di somministrazione di manodopera”, pratica vietata e penalmente sanzionata se non svolta professionalmente da soggetti muniti di autorizzazione ministeriale.

Inoltre è opportuno ricordare che l’art. 3 c. 6 del D.Lgs. n. 81/2008, in materia di distacco, prevede che restino a carico del distaccatario tutti gli obblighi di prevenzione e protezione, salvo quello di formare ed informare il lavoratore sui rischi tipici generalmente connessi allo svolgimento delle mansioni per le quali questi è distaccato, obbligo che viene posto in capo al datore di lavoro distaccante.
L’art. 7 c. 2 del D.L. n. 76/2013 convertito in L. n. 99/2013, ha novellato la disciplina del distacco, introducendo il comma 4 ter dell’art. 30 del D.Lgs. n. 276/2003 il quale va a disciplinare l’istituto del distacco tra imprese che abbiamo sottoscritto un contratto di rete di impresa che abbia validità ai sensi del D.L. n. 5/2009 convertito, con modificazioni, in L. n. 33/2009.
Con tale intervento il Legislatore ha inteso configurare “automaticamente” l’interesse del distaccante al distacco qualora ciò avvenga nell’ambito, appunto, di un contratto di rete fatte salve le norme in materia di mobilità dei lavoratori previste dall’articolo 2103 del codice civile.
Ne consegue che, ai fini della verifica dei presupposti di legittimità del distacco, il personale ispettivo si limiterà a verificare l’esistenza di un contratto di rete tra distaccante e distaccatario: si tratta quindi di una verifica di tipo “documentale” e non “sostanziale” che non ricercherà l’effettiva sussistenza dell’interesse, il quale sorge automaticamente in virtù di una presunzione normativa di legittimità.
La disposizione inoltre consente “la codatorialità dei dipendenti ingaggiati con regole stabilite attraverso il contratto di rete stesso”; ciò vuole pertanto significare che, in relazione a tale personale, il potere direttivo potrà essere esercitato da ciascun imprenditore che partecipa al contratto di rete.
Sul piano di eventuali responsabilità penali, civili e amministrative e quindi sul piano della sanzionabilità di potenziali illeciti, occorrerà rifarsi ai contenuti del contratto di rete, senza pertanto configurare “automaticamente” una solidarietà tra tutti i partecipanti al contratto.
Secondo un’interpretazione letterale della norma, la codatorialità consente di gestire contrattualmente gli obblighi dei diversi datori di lavoro coinvolti in una rete di impresa, includendo la materia delle sicurezza e igiene sul lavoro e gli obblighi giuridici penalmente sanzionati che ne derivano, in analogia peraltro con quanto definito da un’altra disposizione di legge, quella che disciplina la delega di funzioni.
Il distacco funge dunque da strumento per l’attuazione della codatorialità, ammettendo che i dipendenti di ogni impresa all’interno della rete siano di fatto utilizzabili dalle altre e che, di conseguenza, il lavoratore sia sottoposto alla direzione e alla responsabilità del datore di lavoro che lo utilizza.
Tuttavia, la giurisprudenza sembra percorrere una strada diversa; infatti, in virtù di una recente sentenza della Corte di Cassazione n. 31300/13, sembra confermata la previsione per cui al datore di lavoro distaccatario spettino soltanto compiti organizzativi della prestazione, mentre per quelli di natura strutturale nulla pare cambiato rispetto all’impianto giurisprudenziale antecedente al Testo Unico in materia si igiene e sicurezza sui luoghi di lavoro, pertanto il distaccante sarà chiamato a rispondere di eventuali infortuni causati da condizioni di lavoro prive di garanzia per via del fatto di aver dato corso al distacco nonostante la sussistenza di condizioni di pericolo.
Qualora fosse confermata l’interpretazione estensiva e letterale della norma, il distacco costituirebbe un valido strumento di flessibilità all’interno del quadro tracciato con il contratto di rete d’impresa; è però necessario attendere un’evoluzione della normativa, la quale deve essere adeguata alla portata notevolmente potenziata dell’istituto.

giovedì 5 dicembre 2013

IL TFR DESTINATO ALLA PREVIDENZA COMPLEMENTARE – PORTABILITA’ E RISCATTO RENDONO REVERSIBILE LA SCELTA

Come noto, a norma dell’art. 8 del D.Lgs. n. 252/2005, il finanziamento delle forme pensionistiche complementari può essere attuato attraverso il versamento di contributi a carico del lavoratore, del datore di lavoro e attraverso il conferimento del Tfr maturando.

Dal 1 gennaio 2007 è prevista la possibilità di contribuire ai fondi pensione conferendo unicamente il Tfr maturando a partire da tale data: si può considerare senz’altro un’opportunità per chi è ancora lontano dal traguardo della pensione, in quanto si tratta di un percorso di avvicinamento ad un trattamento prossimo all’ultimo stipendio percepito, dato che la pensione Inps, a seguito dell’adozione del sistema contributivo o misto, conferirà una copertura inferiore rispetto a quella di cui potranno beneficiare i lavoratori più anziani che rientrano nell’alveo di applicazione del sistema retributivo.

La scelta operata a favore di un determinato fondo non è totalmente irreversibile in quanto la legge garantisce l’applicabilità di alcuni meccanismi che permettono un certo grado di flessibilità nella gestione del rapporto tra lavoratore aderente e fondo di previdenza complementare.
 
Innanzitutto, è possibile usufruire della cosiddetta “portabilità”, sancita dall’art. 14 c. 6 del D.Lgs. n. 252/2005, la quale comporta la facoltà di trasferire la posizione individuale da un fondo all’altro decorsi due anni di partecipazione ad una forma pensionistica complementare, nonché in deroga a tale limite temporale se il lavoratore cambia settore di attività.
 
In entrambi i casi il trasferimento dovrà avvenire entro sei mesi dalla richiesta e non potrà comportare oneri a carico del lavoratore, le quali costituirebbero delle clausole limitative alla portabilità dell’intera posizione individuale.
 
 
Il sopracitato articolo, inoltre, fissa il principio base secondo il quale gli statuti e i regolamenti delle forme pensionistiche complementari stabiliscono le modalità di esercizio relative alla partecipazione alle forme medesime e alla portabilità delle posizioni individuali, nonché al riscatto parziale o totale delle posizioni individuali, ferme restando le casistiche previste dalla legge.
 
In particolare, l’art. 14 c. 2 e 3 del D.Lgs. n. 252/2005 prescrive che ove vengano meno i requisiti di partecipazione alla forma pensionistica complementare gli statuti e i regolamenti stabiliscono:
-      il trasferimento ad altra forma pensionistica complementare alla quale il lavoratore acceda in relazione alla nuova attività;
-      il riscatto parziale, nella misura del 50 per cento della posizione individuale maturata, nei casi di cessazione dell'attività lavorativa che comporti l'inoccupazione per un periodo di tempo compreso tra 12 e 48 mesi, ovvero in caso di ricorso da parte del datore di lavoro a procedure di mobilità, cassa integrazione guadagni ordinaria o straordinaria;
-      il riscatto totale della posizione individuale maturata per i casi di invalidità permanente che comporti la riduzione della capacità di lavoro a meno di un terzo e a seguito di cessazione dell'attività lavorativa che comporti l'inoccupazione per un periodo di tempo superiore a 48 mesi. Tale facoltà non può essere esercitata nel quinquennio precedente la maturazione dei requisiti di accesso alle prestazioni pensionistiche complementari; in questi casi si applicano le previsioni di cui al comma 4 dell'articolo 11;
-      in caso di morte dell'aderente l'intera posizione individuale maturata è riscattata dagli eredi ovvero dai diversi beneficiari dallo stesso designati.
 
L’art. 8 c. 7 del D.Lgs. 252/2005 fisserebbe il principio di irrevocabilità della destinazione del Tfr alla previdenza complementare, in quanto non sarebbe più possibile revocare tale scelta né in costanza di rapporto né in futuro in caso di cambio di attività lavorativa: si tratta di un principio da cui traspare la volontà di introdurre degli automatismi volti a spingere sulla diffusione della previdenza complementare.

Tuttavia, il principio di irrevocabilità della scelta, se apparentemente non ammette eccezioni, in pratica può essere violato attraverso un meccanismo che snatura la qualificazione previdenziale degli accantonamenti operati e passa attraverso gli statuti e i regolamenti dei fondi, all’interno dei quali gli stessi risultano liberi di stabilire cause di riscatto aggiuntive rispetto a quelle tipizzate dalla legge.

Ad oggi, infatti, come confermato nella deliberazione della Covip del 21 marzo 2007, in quasi tutti i regolamenti dei fondi sono annoverate tra le cause di riscatto totale il licenziamento e/o le dimissioni; in questo modo il Tfr non viene a perdere la sua natura di retribuzione differita, potendovi accedere per le stesse motivazioni per le quali, normalmente, se ne dispone quando il Tfr rimane in azienda con il vantaggio di una regime fiscale estremamente conveniente.

Concludendo, quindi, il principio di irrevocabilità della scelta subisce un’eccezione proprio in ordine al riscatto della posizione previdenziale individuale ai sensi dell’art. 14 del D.Lgs. n. 252/2005 poiché, da questo momento, incomincia nuovamente a decorrere il periodo transitorio di sei mesi entro i quali il lavoratore potrà operare la scelta sulla destinazione del Tfr derivante dal nuovo rapporto di lavoro.

 

venerdì 29 novembre 2013

L’INTERMITTENTE IN SOMMINISTRAZIONE – UN NUOVO STRUMENTO DI FLESSIBILITÁ

Con l’ultimo accordo per il rinnovo del CCNL dei lavoratori in somministrazione del settembre 2013, è stato introdotto un interessante strumento sperimentale di flessibilità per le imprese che intendano fruire del lavoro somministrato; si tratta di una nuova modalità di utilizzo del contratto di somministrazione a tempo determinato con un monte ore garantito (MOG).

La finalità è quella di ricondurre alla somministrazione di lavoro le altre tipologie contrattuali flessibili, spesso in concorrenza tra loro, nonché quella di agevolare l'utilizzo della somministrazione di lavoro in alcuni settori che maggiormente necessitano di rapporti di lavoro compatibili con le reali esigenze delle aziende utilizzatrici.

Il lavoratore viene assunto dall’agenzia di somministrazione ma per l’utilizzatore devono comunque sussistere ragioni di carattere tecnico, organizzativo, produttivo o sostitutivo a meno che non si tratti della prima missione con contratto acausale.

Essendo un intervento con carattere sperimentale, l’utilizzatore potrà avvalersi dell’istituto del lavoro somministrato MOG qualora operi in uno dei seguenti settori:

·         Turismo,
·         Grande distribuzione organizzata – GDO,
·         Logistica,
·         Alimentare,
·         Agricoltura,
·         Telecomunicazioni – TLC,
·         Servizi alla persona.

L’agenzia di somministrazione, dunque, provvederà ad assumere a tempo determinato con una durata minima di tre mesi un lavoratore che presterà la propria attività lavorativa presso l’utilizzatore solo quando quest’ultimo ne avrà la necessità; nel contratto di lavoro verrà specificata la fascia oraria in cui il lavoratore dà la propria disponibilità a prestare l’attività (antimeridiana, postmeridiana, serale notturna e la fascia oraria alternativa di massimo 6 ore).

Una sensibile novità riguarda il fatto che il lavoratore verrà chiamato direttamente dall’utilizzatore in funzione delle proprie esigenze organizzative, inoltre l'orario e/o il giorno della prestazione dovranno essere comunicati al lavoratore con un preavviso di 24 ore dall'inizio dell'attività stessa; va sottolineato che questo aspetto deve essere specificato nel contratto di lavoro.

In ogni caso, cioè indipendentemente che il lavoratore venga chiamato o meno, allo stesso è garantita una retribuzione minima pari al 25% su base mensile dell'orario di lavoro normale (a tempo pieno) applicato presso l'azienda utilizzatrice nel rispetto del principio di parità di trattamento retributivo.

Inoltre, è stato previsto un meccanismo di consolidamento del MOG dopo sei mesi presso lo stesso utilizzatore, pari al 10% del lavoro supplementare prestato qualora il monte ore garantito venga superato del 20% in media nel medesimo periodo di osservazione.

Volendo eseguire un raffronto con il contratto di lavoro intermittente “tradizionale”, sono molteplici gli aspetti di differenziazione che emergono:

·         In primis, non è necessario procedere con l’invio della comunicazione preventiva alla DTL attraverso i diversi canali previsti dalla procedura centralizzata del Ministero del Lavoro;
·         in secondo luogo, non essendo previste delle causali particolari, sono superate le condizioni che devono essere rispettate nel caso di attivazione di job on call tradizionale (esigenze oggettive previste dal CCNL, lavoratore adibito ad attività discontinue previste dal RD 2657/1923 e requisito oggettivo del limite di età meno di 24/più di 55 anni);
·         inoltre il lavoratore deve dare la propria disponibilità alla prestazione lavorativa, formalizzandola nella lettera di assunzione: quindi in caso di assenza giustificata alla chiamata (es. malattia) non verrà erogata al lavoratore la retribuzione minima, mentre in caso di assenza ingiustificata alla chiamata, in aggiunta alla mancata erogazione della retribuzione minima, l’agenzia (titolare del potere disciplinare) potrà adottare i provvedimento disciplinare previsti dal CCNL. Non è prevista alcuna indennità di disponibilità;
·         non vige la limitazione delle 400 giornate nell’arco dei tre anni solari con conseguente trasformazione del rapporto a tempo pieno e indeterminato in caso di violazione;
·         infine, per quanto attiene l’aspetto degli adempimenti gestionali, l’utilizzatore non deve fare altro che redigere il primo e l’ultimo LUL relativo al prestatore con i soli dati identificativi del lavoratore e del somministratore: non sono a suo carico le comunicazione al CPI, le comunicazioni preventive e tutti gli adempimenti amministrativi di carattere generale. Si tratta, quindi, di una scelta che comporta una notevole semplificazione burocratica.

È bene sottolineare che, a norma dell’artt. 20 e 34 del D.Lgs. n. 276/2003, sia il ricorso alla somministrazione MOG che al lavoro intermittente risultano preclusi per tutti quei datori di lavoro che non abbiamo provveduto ad effettuare la valutazione dei rischi.

venerdì 22 novembre 2013

ASSUNZIONI AGEVOLATE E TERRITORIO: LA REGIONE LANCIA LA DOTE UNICA LAVORO “OCCUPATI IN LOMBARDIA”

La Regione Lombardia ha recentemente deliberato in Giunta un innovativo sistema di politiche attive del lavoro basato su interventi mirati al risultato occupazionale, denominato Dote Unica Lavoro “Occupati in Lombardia”.

Si tratta di un’azione il cui fine è quello di supportare i lavoratori residenti in Lombardia che siano disoccupati o sospesi in cassa integrazione, nonché riqualificare e reinserire nel mercato del lavoro questi soggetti attraverso l’accesso ai servizi al lavoro e alla formazione: da un lato, viene dunque confermata la centralità del sistema dotale rispondendo alle esigenze delle persone nelle diverse fasi della propria vita professionale e incoraggiando, dall’altro, le imprese che si affacciano al mercato del lavoro lombardo.

La Dote lavora su due fronti: combina infatti un valido strumento a sostegno dell’occupazione con incentivi economici diretti alle imprese lombarde che assumano lavoratori beneficiari del bando ottenendo un “esito occupazionale positivo” attraverso l’attivazione della dote stessa.

La Dote coinvolge, dunque, tre soggetti:

·          il soggetto potenziale beneficiario della Dote Unica Lavoro che deve essere in possesso di una serie di requisiti tra cui, a titolo esemplificativo e non esaustivo, giovani inoccupati residenti o domiciliati in Lombardia fino a 29 anni, disoccupati provenienti da unità operative ubicate sul territorio regionale ma anche lavoratori occupati in aziende ubicate in Lombardia che rientrino in accordi contrattuali che prevedano quote di riduzione d’orario (contratti di solidarietà);

·          l’operatore, pubblico o privato, accreditato al lavoro (l’elenco completo degli Enti è disponibile sul sito della Regione Lombardia). L’operatore che prende in carico la persona ne valuta il profilo e abbina il soggetto ad una delle quattro fasce d’intensità di aiuto previste e misurate in base alla distanza dal mercato del lavoro, dall’età, al titolo di studio e al genere dei singoli individui; si tratta di definire il PIP – Piano di Intervento Personalizzato – che contiene tutti i servizi necessari e funzionali al raggiungimento degli obiettivi prefissati;

·          le imprese private, con esclusione degli organismi in tutto o in parte partecipati o controllati dallo Stato o da un altro Ente pubblico, che assumono lavoratori inseriti nel programma dotale e che dalla data della presentazione della domanda fino alla domanda di liquidazione del contributo siano in possesso di una serie di requisiti tra cui: sede operativa nel territorio della Regione Lombardia e rispetto dei principi generali per fruire degli incentivi ex L. 92/2012. È bene ricordare che prima dell’assunzione, il lavoratore in possesso dei requisiti, deve rivolgersi ad uno degli operatori accreditati al fine di essere materialmente inserito nel programma Dote Unica Lavoro.

Per le imprese di cui sopra che abbiano provveduto a inviare la domanda di incentivo a partire dal 23 gennaio 2014 e non oltre il 30 giugno 2014, a seguito della positiva conclusione dell’istruttoria e trascorsi 12 mesi dalla data di assunzione del lavoratore, sono previsti i seguenti incentivi economici diretti:

TIPOLOGIA DI LAVORATORE
CONTRIBUTO PREVISTO
 
1) giovani fino a 29 anni e 364 giorni residenti/domiciliati in Lombardia senza impiego regolarmente retribuito da almeno 6 mesi;                                                                                                 2) disoccupati da oltre 12 mesi;      
3) OVER 50: disoccupati da oltre 6 mesi o cassintegrati in CIGD/CIGS con causali di cessazione dell’attività, procedura concorsuale o in presenza di accordi con previsione di esuberi; 
4) OVER 45: disoccupati da almeno 6 mesi o cassintegrati (CIGD/CIGS)  con titolo di studio <diploma II ciclo/qualifica professionale.   
                            
 
1) tempo indeterminato contributo regionale fino a €8.000,00;                                                                     2) tempo determinato di minimo 12 mesi contributo regionale fino a € 3.000,00.
 
Assunti come DIRIGENTI: ex dirigenti over 50 e/o senza impiego regolarmente retribuito da almeno 6 mesi.
 
1) tempo indeterminato contributo regionale fino a €10.000,00;                                                                
2) tempo determinato di minimo 12 mesi contributo regionale fino a € 5.000,00.
 
 
Assunti da IMPRESE SOCIALI costituite ai sensi della L.118/05 e del D.Lgs. 155/06 da imprenditori che abbiano concluso un  periodo di autoimprenditorialità. I lavoratori assunti devono essere, alternativamente:
 
1) lavoratori in CIGD/CIGS con causali di cessazione dell’attività, procedure concorsuali, presenza di accordi su esuberi;
2) lavoratori in mobilità ordinaria o in deroga.
 
 
1) tempo indeterminato contributo regionale fino a € 8.000,00 (erogato in regime de minimis); 
2) ) tempo determinato di minimo 12 mesi contributo regionale fino a € 3.000,00 (erogato in regime de minimis).

venerdì 15 novembre 2013

TIROCINI FORMATIVI: LE NUOVE LINEE GUIDA DELLA REGIONE LOMBARDIA

Tra le forme più idonee ad assicurare la formazione e l’occupazione dei giovani che devono inserirsi nel mercato del lavoro vi sono apprendistato e tirocinio formativo.
Tra questi due strumenti messi a disposizione dall’ordinamento, le aziende prediligono di gran lunga il tirocinio formativo come testimoniato dalle ricerche del Centro Studi Cnai che confermano, con l’analisi delle prime statistiche dell’anno 2013, una netta diminuzione degli apprendisti in azienda.
Infatti, in entrambe le tipologie il datore di lavoro si impegna a fornire un addestramento professionale con la particolarità che nel tirocinio, a differenza dell’apprendistato, il percorso formativo non implica l’instaurazione di un rapporto di lavoro subordinato.
Veniamo dunque alle tipologie di tirocinio regolamentate con le Linee Guida del 25 ottobre 2013 della Regione Lombardia.
Oltre ai tirocini curricolari è possibile attivare tirocini extracurricolari tra cui:
·         Tirocini "formativi e di orientamento";
·         Tirocini di "inserimento/reinserimento al lavoro";
·         Tirocini formativi e di orientamento o di inserimento/reinserimento in favore di soggetti disabili e persone svantaggiate ex lege n. 381/1991;
·         Tirocini estivi di orientamento.
Sono previsti dei limiti di età, infatti il tirocinio è rivolto a cittadini comunitari ed extracomunitari con almeno 15 anni di età, limite elevato a 16 anni per i tirocini formativi e di orientamento o di inserimento/reinserimento al lavoro.
Per l’entrata in vigore e la conseguente possibilità di attivazione dei tirocini secondo i nuovi indirizzi è necessario attendere 30 giorni dopo la pubblicazione dei decreti dirigenziali che definiscono i modelli di convenzione di tirocinio e progetto formativo individuale.
Ai tirocini in corso di svolgimento alla data di entrata in vigore dei presenti indirizzi continua ad applicarsi la normativa vigente alla data del loro avvio anche in caso di proroga.
Per qualsiasi soggetto, persona fisica o giuridica, di natura pubblica o privata per poter ospitare un tirocinante è necessario il rispetto dei seguenti requisiti:
·         regolarità con la vigente normativa sulla salute e sicurezza sui luoghi di lavoro;
·         regolarità con la normativa di cui alla legge n. 68/1999;
·         non avere effettuato nei 12 mesi precedenti l'attivazione del tirocinio licenziamenti per mansioni equivalenti a quelle del tirocinio, fatti salvi quelli per giusta causa e per giustificato motivo soggettivo e fatti salvi specifici accordi sindacali.
Sussistono anche dei limiti numerici, infatti per i soggetti ospitanti la cui struttura si compone del solo titolare o con risorse umane in numero non superiore a 5, è possibile attivare un solo tirocinio per volta; nel caso di un numero di risorse compreso tra 6 e 20 se ne possono attivare 2 mentre nel caso di un numero superiore a 20 si può arrivare a totalizzare fino al 10% delle risorse in forza.
Viene designato un tutore sia per il soggetto promotore che per il soggetto ospitante; in questo secondo caso deve trattarsi di una persona in possesso di esperienze e competenze professionali adeguate per garantire il raggiungimento degli obiettivi di tirocinio e ciascun tutore può accompagnare nel periodo di inserimento in azienda fino ad un massimo di 3 tirocinanti.
Inoltre, i tutori in seno ai due soggetti, ospitante e promotore, devono collaborare per pianificare lo svolgimento dell’attività, per il monitoraggio e l’attestazione della stessa unitamente alle competenze acquisite.
Per quanto riguarda le durate massime dei tirocini, comprese le eventuali proroghe, sono di 6 mesi per i tirocini formativi e di orientamento e di 12 mesi per i tirocini di inserimento e reinserimento.
Per la partecipazione al tirocinio è corrisposta al tirocinante un'indennità di importo non inferiore a euro 400,00 lordi mensili (riducibile a euro 300,00 qualora sia prevista la corresponsione di buoni pasto o l'erogazione del servizio mensa ovvero qualora l'attività di tirocinio non implichi un impegno giornaliero superiori a 4 ore).
Nel caso di tirocini in favore di lavoratori sospesi o disoccupati percettori di forme di sostegno al reddito l'indennità di partecipazione non viene corrisposta.
Quindi, a differenza dell’apprendistato al quale si accompagnano una serie di criticità quali, ad esempio, la limitazione alla risoluzione del contratto, la possibilità di incappare in accertamenti finalizzati a verificare la corretta applicazione della norma che possono a loro volta sfociare in un regime sanzionatorio e in un recupero contributivo, con il rapporto di tirocinio tutto questo non accade, proprio perché, per la natura stessa dell’istituto, questo non può, e non deve, essere utilizzato come forma surrettizia di lavoro subordinato. 

mercoledì 13 novembre 2013

IGIENE E SICUREZZA SUL LAVORO: I PRINCIPALI ADEMPIMENTI


La Costituzione in primis e in seconda battuta il D.Lgs. n. 81/2008, meglio noto come Testo Unico in materia di sicurezza sul lavoro, garantiscono la tutela dell’integrità psico-fisica dei lavoratori coinvolgendo a vario titolo nell’organizzazione della sicurezza tutte le figure protagoniste dell’attività aziendale a partire, ovviamente, dal datore di lavoro e arrivando ai lavoratori.

Di seguito esponiamo i principali adempimenti connessi alla suddetta normativa in caso di prima assunzione, quindi per tutte le aziende con dipendenti, e per le aziende con soci prestatori d’opera (la seguente elencazione vuole essere un’indicazione non esaustiva delle incombenze legate all’igiene e sicurezza sui luoghi di lavoro):

·         Per i titolari di aziende che intendano svolgere personalmente il ruolo di responsabile del servizio di prevenzione e protezione (RSPP) è necessaria la frequenza di corsi di formazione e aggiornamento che, a seconda del rischio presente in azienda, hanno una durata compresa tra le 16 e le 48 ore (tra 6 e 14 per gli aggiornamenti). L’autonomina deve essere formalizzata con apposito modulo da conservare in azienda.
·         DVR: al termine del processo di  valutazione di tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, redige il documento di valutazione dei rischi entro 90 giorni dall’inizio attività o dalla prima assunzione. In occasione di sostanziali modifiche del processo produttivo che comportino una variazione dei rischi valutati è necessaria una rielaborazione del documento entro 30 giorni.
·         Nomina del Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza (a seconda delle dimensioni aziendali il TU prevede la presenta di più rappresentanti) con frequenza di un corso della durata minima di 32 ore. Il Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza può anche essere esterno o territoriale (RLST) e può essere nominato previa richiesta e conseguente pagamento della quota all’Ente Bilaterale di categoria.
·         Nomina addetti antincendio, emergenza, evacuazione e iscrizione relativo corso di formazione di 4 o 8 ore a seconda che il rischio insorgenza incendi in azienda sia basso o medio (che si ha per attività soggette a rilascio Certificato Prevenzione Incendi).
·         Nomina addetti pronto soccorso e iscrizione al relativo corso di formazione di 12 o 16 ore a seconda che l’azienda sia appartenente ai gruppi C o B oppure A.
·         Nomina del medico competente per le attività soggette a sorveglianza sanitaria.
·         Esecuzione delle visite mediche nelle fattispecie previste dall’art. 41 D.Lgs. n . 81/2008 (anche preassuntive).
·         Riunione periodica: nelle aziende e nelle unità produttive con più di 15 lavoratori impiegati, almeno una volta all’anno deve essere indetta una riunione a cui prendono parte il datore di lavoro, l’RSPP e l’RLS.

N.B. i lavoratori “videoterminalisti” a norma dell’art. 176 c. 1 D.Lgs. 81/2008 sono soggetti a sorveglianza sanitaria.

venerdì 11 ottobre 2013

OPERATIVE LE SEMPLIFICAZIONI IN MATERIA DI APPRENDISTATO PROFESSIONALIZZANTE


Dal 1° ottobre 2013 il datore di lavoro che intende stipulare un contratto di apprendistato professionalizzante non è più tenuto ad indicare nel piano formativo individuale le modalità con le quali dovrà essere svolta la formazione trasversale, ma solo quella per l’acquisizione delle competenze tecnico-professionali e specialistiche.

Infatti il 30 settembre u.s. è scaduto il termine entro il quale la Conferenza Stato Regioni avrebbe dovuto definire le linee guida per l’avvio semplificato dell’apprendistato professionalizzante sulla base dei criteri e principi individuati dal DL 76/2013 (L. 99/2013).

Poiché il termine è scaduto senza alcun intervento da parte della predetta Conferenza Stato Regioni, così come previsto dal Decreto occupazione, il 1° ottobre 2013 sono divenute pienamente operative le tre deroghe al T.U. sull’apprendistato. 

La prima prevede che il datore di lavoro sia tenuto a compilare il piano formativo individuale solo per la parte c.d. professionalizzante, mentre non è tenuto ad indicare le modalità di attuazione della formazione di base e trasversale. Si ricorda comunque che la formazione di base deve sempre essere impartita all’apprendista così come ricordato dal Ministero del lavoro con la circolare 35/2013. In sostanza la semplificazione riguarda solo la facoltà di evitare la compilazione del piano formativo in merito alla formazione di base.

La seconda agevolazione riguarda la registrazione della formazione impartita all’apprendista, che dovrà essere effettuata sul già noto libretto formativo del cittadino regolamentato dal DM 10/10/2005 e non su altri supporti da prevedere ad hoc. 
 
Infine se l’azienda opera in più regioni, il datore di lavoro dovrà osservare la disciplina formativa prevista nella regione dove l’azienda ha la propria sede legale. Questo consente di osservare una sola regolamentazione per tutti gli apprendisti impiegati in regioni diverse dove possono esserci differenti normative.

lunedì 23 settembre 2013

DURC: LE ISTRUZIONI DEL MINISTERO DOPO IL DECRETO DEL FARE


Con la circolare n.36 del 6 settembre, Il Ministero del Lavoro ha fornito chiarimenti in merito al rilascio del DURC nei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture e alla sua validità temporale, in seguito alle modifiche apportate dalla L. n.98/13, rinviando alle indicazioni degli Istituti previdenziali e delle Casse edili per quanto riguarda la sua concreta applicazione.

In base alle novità introdotte, il DURC "in corso di validità" deve essere acquisito: per la verifica della dichiarazione sostitutiva relativa al requisito di cui all’art.38, co.1, lett.i), D.Lgs. n.163/06; per l’aggiudicazione del contratto; per la stipula del contratto; per il pagamento degli stati avanzamento dei lavori o delle prestazioni relative a servizi e forniture; per il certificato di collaudo, il certificato di regolare esecuzione, il certificato di verifica di conformità, l’attestazione di regolare esecuzione e il pagamento del saldo finale.

Il DURC acquisito dopo il 21 agosto 2013 (data di entrata in vigore del Decreto fare) per le ipotesi di cui sopra è valido per la durata di 120 giorni dalla data del suo rilascio. I DURC rilasciati prima di tale data avranno una validità di 90 giorni, come stabilito dalla disciplina previgente.

Il Ministero conferma infine il preavviso di accertamento negativo che impone agli Enti implicati nel rilascio del DURC, prima dell’emissione o dell’annullamento del Documento, di invitare l’interessato a regolarizzare la propria posizione assegnando, a tale scopo, un termine non superiore a 15 giorni.

Per agevolare questa fase la comunicazione di invito alla regolarizzazione deve pervenire all’interessato (o al consulente del lavoro delegato o agli altri soggetti autorizzati) tramite Pec e riportare l’indicazione analitica delle cause di irregolarità. Tale previsione, benché inerente ai contratti pubblici, deve applicarsi ad ogni diversa tipologia di verifica operata dagli Enti previdenziali in sede di rilascio del DURC.

Infine va ricordato che, almeno fino al 31 dicembre 2014, il Legislatore ha scelto di estendere la durata di 120 giorni di validità del DURC anche ai lavori edili per i soggetti privati.