venerdì 28 febbraio 2014

INPS: IL NUOVO SISTEMA DI GESTIONE DEL DURC INTERNO

Con il messaggio n. 2889 del 27 febbraio 2014, l’INPS ha illustrato le nuove linee guida della gestione del Durc interno, di cui l’Istituto si occuperà direttamente a decorrere da aprile 2014, in relazione al godimento di benefici normativi e contributivi, per il godimento dei quali l’art. 1 c. 1175 della L. n. 296/2006 prevede, tra l’altro, il possesso, da parte dei datori di lavoro, del Documento Unico di Regolarità Contributiva (cosiddetto DURC).

L’art. 3 c. 4, del D.M. 24 ottobre 2007,  prevede che l’INPS,  per i benefici di propria competenza, verifichi i presupposti per il rilascio del DURC, senza emettere il Documento “formale” previsto dall’articolo 4 del decreto stesso; il DURC “formale” è sostituito da un sistema di segnalazione degli esiti della verifica (gli ormai noti “Semafori”) che danno luogo al cosiddetto “DURC interno”  nell’ambito del “Cassetto previdenziale Aziende”; il “semaforo verde” indica una situazione compatibile con il godimento dei benefici, mentre il “semaforo rosso” indica una situazione incompatibile con il godimento dei benefici. L’art. 7 c. 3, del citato decreto prevede altresì che, in mancanza dei requisiti di regolarità, l’INPS emetta un DURC negativo, solo dopo aver inutilmente invitato il datore di lavoro a regolarizzare la propria posizione entro quindici giorni.

Tutto ciò premesso e in conformità alle norme, è stato innovato il processo di gestione del DURC interno che sarà operativo a decorrere dal mese di aprile 2014 (quindi la prima richiesta di DURC interno verrà effettuata direttamente dall’Istituto alla metà del mese di aprile 2014):

·        la richiesta del DURC interno viene ora effettuata dall’Istituto, in qualità di ente tenuto a riconoscere i benefici di legge subordinati alla regolarità contributiva e non è più effettuata dal datore di lavoro attraverso la denuncia contributiva relativa al mese in cui sono richiesti i benefici stessi;
·         con frequenza mensile (approssimativamente verso la metà di ogni mese di calendario) i sistemi informativi centrali interrogano gli archivi elettronici dell’Istituto per rilevare eventuali situazioni di irregolarità incompatibili con i benefici;
·     RILEVAZIONE IMMEDIATA DI REGOLARITÀ: nell’ipotesi in cui non siano rilevate situazioni di irregolarità, viene immediatamente attivata all’interno del Cassetto previdenziale una segnalazione positiva (Semaforo verde), che assume il significato di DURC interno positivo. Ne consegue che il datore di lavoro può godere dei benefici che competerebbero per il mese in relazione al quale è attivato il Semaforo verde; inoltre il DURC interno positivo consente anche il godimento dei benefici che competerebbero per i tre mesi successivi, a prescindere se, nel frattempo, insorga una situazione di irregolarità; tale validità quadrimestrale del DURC interno positivo rispetto ai benefici è rappresentata dalla immediata contemporanea accensione del semaforo verde per quattro mesi consecutivi.
·       RILEVAZIONE INIZIALE DI IRREGOLARITÀ: nell’ipotesi in cui vengano rilevate situazioni di irregolarità, si attiva all’interno del Cassetto previdenziale una segnalazione di allarme temporaneo (Semaforo giallo) e contemporaneamente viene inviata al datore di lavoro (e a chi lo rappresenta per gli adempimenti previdenziali) una  comunicazione (detta “preavviso di DURC interno negativo”) mediante posta elettronica certificata (PEC), recante l’indicazione delle irregolarità riscontrate, l’invito a regolarizzarle entro 15 giorni e       l’avvertenza che, decorso inutilmente il termine indicato, verrà generato un  DURC interno negativo.
-        Qualora il datore di lavoro regolarizzi la propria posizione o sia accertata l’insussistenza delle irregolarità, i sistemi informativi centrali attivano all’interno del Cassetto previdenziale una segnalazione positiva che si sostituisce al precedente segnale di temporaneo allarme e assume il significato di DURC interno positivo.
Ne consegue che il datore di lavoro può godere dei benefici che competerebbero per il mese in relazione al quale è attivato il Semaforo verde; anche in questo caso il DURC interno positivo consente inoltre il godimento dei benefici che competerebbero nei tre mesi successivi, a prescindere se nel frattempo insorga una situazione di irregolarità; anche in questo caso la validità quadrimestrale del DURC interno positivo rispetto ai benefici è rappresentata dalla contemporanea accensione del semaforo verde per quattro mesi consecutivi.
-         Qualora, invece, il datore di lavoro non provveda a regolarizzare la propria posizione, i sistemi informativi centrali attivano all’interno del Cassetto previdenziale una segnalazione negativa (Semaforo rosso), che si sostituisce al precedente segnale di temporaneo allarme e assume il significato di DURC interno negativo.
Ne consegue che il datore di lavoro, per il mese in relazione al quale è attivato il Semaforo rosso, non può godere dei benefici che altrimenti gli competerebbero in base alle norme sostanziali che disciplinano i singoli benefici.Tale esclusione riguarda solo il mese per cui è generato il Semaforo rosso, poiché per il mese successivo i sistemi informativi centrali innescano nuovamente la richiesta di DURC interno e la sequenza delle operazioni descritte.
-     Se l’irregolarità persiste ovvero ne insorgono di nuove, si attiva la segnalazione di allarme (Semaforo giallo) e viene nuovamente inviato sempre tramite PEC  il preavviso di DURC interno negativo.
Se il datore di lavoro regolarizza, si genera un DURC interno positivo sul nuovo mese considerato; tale DURC consente il godimento dei benefici anche per i tre mesi successivi, mentre rimangono definitivamente preclusi i benefici relativi al mese per il quale si era precedentemente generato il DURC interno negativo.


venerdì 21 febbraio 2014

LA RATEAZIONE DEI CONTRIBUTI DOVUTI ALLA CASSA EDILE DI MILANO AI FINI DEL RILASCIO DEL DURC

A norma del C.C.N.L., del C.C.P.L. integrativo in vigore nonché degli accordi sindacali vigenti, la Cassa Edile riscuote da imprese e lavoratori una serie di voci di contribuzione, come ad esempio la percentuale complessiva per gratifica natalizia e per ferie, il contributo per l’Anzianità Professionale Edile e il contributo per lavori usuranti e pesanti, nonché multe e trattenute che non rappresentano risarcimento di danni, eventualmente applicate in base al C.C.N.L.

L’impresa deve poi procedere con il versamento del contributo con l’aliquota del 2,50% per previdenze sociali a suo carico da calcolarsi sull’imponibile salariale, entro l’ultimo giorno del mese successivo a quello cui la denuncia si riferisce.
In caso di adempimenti tardivi effettuati entro 120 giorni dalla scadenza indicata, l’impresa deve versare gli interessi di mora.

LA RATEIZZAZIONE “BREVE”

Secondo quanto previsto dalla delibera n. 4/2005 del Comitato di Bilateralità, la Cassa Edile potrà concedere, in via eccezionale, la rateizzazione di contributi ed accantonamenti scaduti, in relazione ad un periodo pregresso massimo di otto mesi, qualora vengano rispettate tutte le seguenti condizioni:
 
·         l’impresa sia iscritta da almeno diciotto mesi alla Cassa Edile di Milano, Lodi, Monza e Brianza;
·         l’impresa abbia regolarmente inviato le denunce mensili pregresse e correnti, al fine di consentire la piena ricognizione dell’intero debito scaduto, che deve essere riconosciuto senza eccezione di sorta;
·         l’impresa presti idonee garanzie;
·         l’impresa comunichi l’elenco dei cantieri nei quali abbia operato nel periodo durante il quale è maturata la morosità, nonché l’elenco dei rispettivi committenti in appalto o in subappalto, oltre che l’elenco dei cantieri in corso alla data della richiesta del piano, unitamente all’elenco dei relativi committenti in appalto o in subappalto;
·         la durata della rateizzazione non vada oltre le scadenze utili per il pagamento agli operai, nei termini previsti dal C.C.P.L., degli accantonamenti relativi all’intera somma rateizzata;
·         sulle somme oggetto di rateizzazioni vengano applicati interessi pari a quelli previsti all’art. 4 del Regolamento, in caso di ritardato pagamento;
·         l’impresa paghi la prima rata del piano, contestualmente alla sottoscrizione dell’accordo di rateizzazione.

LA RATEIZZAZIONE “LUNGA”

Secondo quanto previsto dalla delibera n. 1/2012 del Comitato di Bilateralità e in via sperimentale fino a dicembre 2015, la Cassa Edile potrà concedere in via eccezionale la rateizzazione di contributi ed accantonamenti scaduti in relazione ad un periodo pregresso massimo di dodici mesi, qualora vengano rispettate tutte le seguenti condizioni:

·         l’impresa sia iscritta da almeno tre anni alla Cassa Edile di Milano, Lodi, Monza e Brianza;
·         l’impresa abbia regolarmente inviato le denunce mensili pregresse e correnti al fine di consentire la piena ricognizione dell’intero debito scaduto;
·         l’impresa presti idonee garanzie;
·         l’impresa comunichi l’elenco dei cantieri nei quali abbia operato nel periodo durante il quale è maturata la morosità, nonché l’elenco dei rispettivi committenti in appalto o in subappalto, oltre che l’elenco dei cantieri in corso alla data della richiesta del piano, unitamente all’elenco dei relativi committenti in appalto o in subappalto;
·         l’impresa sottoscriva un accordo sindacale con la RSU o RSA, ove presenti, oppure con le OO.SS territoriali firmatarie del C.C.P.L. L’impresa potrà essere assistita dalla propria Associazione datoriale di riferimento;
·         la durata della rateizzazione non vada oltre un periodo massimo di dodici mesi;
·         la Cassa Edile versi ai dipendenti dell’impresa le loro spettanze pregresse per ferie, gratifica natalizia, A.P.E. e le prestazioni eventualmente richieste dall’operaio dipendente via via che i pagamenti relativi alle singole denunce mensili scadute siano stati integralmente corrisposti, secondo le scadenze utili per il pagamento agli operai, nei termini previsti dal C.C.P.L., degli accantonamenti relativi all’intera somma rateizzata; durante il periodo di durata del piano di rateizzazione, i termini utili all’accesso ed al riconoscimento delle eventuali prestazioni agli operai – escluso il termine di presentazione della domanda – rimarranno sospesi fino alla scadenza del piano di rateizzazione, al fine di non pregiudicare il diritto dell’operaio alla prestazione;
·         sulle somme oggetto di rateizzazione vengano applicati interessi pari a quelli previsti all’art. 4 del Regolamento, in caso di ritardato pagamento;
·         l’impresa paghi la prima rata del piano, contestualmente alla sottoscrizione dell’accordo di rateizzazione.

Per entrambe le tipologie, il rispetto del piano di rateizzazione consente il rilascio del D.U.R.C. regolare esclusivamente a condizione che venga assicurata, la regolarità negli adempimenti correnti costituiti dall’invio delle denunce mensili dei lavoratori occupati e dei relativi pagamenti per tutta la durata della rateizzazione stessa.
Inoltre, in via eccezionale, durante il corso della rateizzazione già accordata, ove l’impresa debitrice si trovi in concreta difficoltà rispetto al pagamento di una rata a venire relativa allo scaduto, previa valutazione da parte della Presidenza della Cassa Edile, potrà essere ammessa ad una riduzione dell’importo della rata in scadenza, alla sola condizione che la differenza d’importo rimanente venga addebitata ad incremento dell’importo delle rate residue, senza in tal caso modificare la durata complessiva originaria della rateizzazione.

Si precisa che il D.U.R.C. rilasciato dalla Cassa Edile a fronte di un piano di riporterà nel campo note le seguenti informazioni: “Ammesso alla rateizzazione come da art. 4.c del Reg. Gest. per il periodo di scaduto dal gg/mm/aaaa al gg/mm/aaaa Numero rate ….., ultima rata scadente il gg/mm/aaaa”.

Resta inteso che il mancato pagamento di una rata del piano ovvero la mancata regolarità contributiva corrente, avrà come conseguenza la decadenza dal beneficio della rateizzazione, nonché l’annullamento del D.U.R.C. eventualmente emesso e pur ancora in corso di validità.

A ulteriore tutela della committenza, la Cassa Edile si riserva di trasmettere idonea informativa della sopravvenuta irregolarità dell’impresa ai committenti in appalto o in subappalto indicati nella richiesta di rateizzazione.

venerdì 14 febbraio 2014

IL RISARCIMENTO DANNI NEL RAPPORTO DI LAVORO DIPENDENTE: IL TRATTAMENTO TRIBUTARIO

La nozione fiscale di reddito di lavoro dipendente è rinvenibile dal combinato disposto:

·         dell'articolo 51 del TUIR, cioè le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d'imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro;
·         dell’art. 6 c. 2 del TUIR, tenendo conto che costituiscono redditi di lavoro dipendente anche le somme conseguite in sostituzione di tali redditi anche per effetto di cessione dei relativi crediti e le indennità conseguite, anche in forma assicurativa, a titolo di risarcimento di danni consistenti nella perdita di redditi, esclusi quelli dipendenti da invalidità permanente o da morte, costituiscono redditi della stessa categoria di quelli sostituiti o perduti;
·         art.17 c.1, lett. a) del TUIR: l’imposta si applica separatamente sulle somme e i valori comunque percepiti, al netto delle spese legali sostenute, anche se a titolo risarcitorio o nel contesto di procedure esecutive, a seguito di provvedimenti dell’autorità giudiziaria o di transazioni relativi alla risoluzione del rapporto di lavoro.

Alla luce delle suddette disposizioni normative, deve essere valutata la rilevanza fiscale dei risarcimenti disposti dal giudice in contenziosi in cui è parte in causa il dipendente e nell'ipotesi in cui a quest'ultimo venga riconosciuto un risarcimento.
Con particolare riguardo all’applicazione dell’ultimo articolo citato, salvo alcune isolate sentenze che avevano considerato imponibili le somme risarcitorie facendo leva sul tenore letterale, il quale prevede che tra le somme soggette a tassazione separata sono ricomprese anche le erogazioni a titolo risarcitorio, si era ritenuto, anche in virtù di quanto indicato dalla Corte Costituzionale nell’ordinanza 19 luglio 2005, n.292, che tale norma fosse indicativa della modalità di tassazione (separata) e non della natura imponibile, essendo quest’ultima sancita non dall’art.17, ma dall’art.6 c.2 del Tuir.

Dunque è possibile affermare che costituisce reddito il risarcimento che deriva da un danno da lucro cessante ossia il provento che sostituisce il reddito di lavoro (il mancato guadagno che fa riferimento ad una situazione futura e facendo riferimento alla ricchezza che il creditore non ha conseguito in seguito alla mancata, inesatta o ritardata prestazione del debitore), mentre non rileva ai fini fiscali il risarcimento del danno emergente (la perdita subita dal patrimonio del creditore a causa della mancata, inesatta o ritardata prestazione del debitore). Dunque non rilevano le entrate conseguite come mera reintegrazione patrimoniale nelle quali manca il presupposto materiale del reddito, ossia l’incremento di ricchezza.
Il trattamento fiscale del risarcimento dipenderà, pertanto, dal titolo riconosciuto alla somma liquidata con la sentenza ed è necessario sottolineare che, spesso, la linea di demarcazione tra le due fattispecie si presenta precaria e le pronunce della giurisprudenza non sono del tutto univoche.

Perciò, il risarcimento costituisce reddito imponibile se e nei limiti in cui abbia la funzione di reintegrare un danno che consiste nella mancata percezione di redditi (cosiddetto principio sostitutivo); non è invece, tassabile ogni risarcimento inteso a riparare un pregiudizio di natura diversa da quella reddituale.
Inoltre, la Cassazione ha precisato che in caso di transazione in cui resti ferma la cessazione del rapporto di lavoro, esista una presunzione relativa della natura reddituale delle somme liquidate al dipendente poiché gli deve essere attribuita la natura di ristoro della perdita delle retribuzioni che la prosecuzione del rapporto avrebbe implicato. Si tratta, tuttavia, di una presunzione relativa che può essere superata nel caso in cui si adduca e risulti una diversa causale del relativo esborso. La prova della natura risarcitoria di danno emergente da attribuire alla somma costituisce frutto dell'interpretazione data dal giudice di merito ad un atto negoziale sulla base degli elementi acquisiti al processo.

In aggiunta è stato definito un concetto “residuale” del risarcimento che non costituisce reddito per il dipendente, stabilendo dei criteri per accertare la natura non reddituale delle somme liquidate; infatti, secondo le indicazioni fornite dalla Suprema Corte, si ritiene che al fine di poter negare l'assoggettabilità ad Irpef di un'erogazione economica effettuata a favore del lavoratore da parte del datore di lavoro, è necessario:
1) accertare che l'erogazione non trovi la sua causa nel rapporto di lavoro, e, se ciò non viene positivamente escluso,
2) accertare che l'erogazione, in base all'interpretazione della concreta volontà manifestata dalle parti, non trovi la fonte della sua obbligatorietà in: redditi sostituiti o risarcimento di danni consistenti nella perdita di redditi futuri, cioè successivi alla cessazione od all'interruzione del rapporto di lavoro.

Qualora dall'applicazione dei suddetti criteri non emerga la natura reddituale del risarcimento, lo stesso sarà considerato conseguito in ristoro di un danno patrimoniale che, in quanto tale, non costituisce reddito per il dipendente. 

venerdì 7 febbraio 2014

OMESSO VERSAMENTO DELLE RITENUTE PREVIDENZIALI E STATO DI DIFFICOLTÀ AZIENDALE

La terza sezione penale della Corte di Cassazione, con sentenza n. 3705 del 28 gennaio 2014, ha affermato che la situazione di insolvenza nella quale versa l’azienda non è sufficiente a liberare dalla responsabilità penale l’amministratore dell’impresa che ha omesso di versare le ritenute previdenziali sulle retribuzioni corrisposte ai dipendenti.
Nel caso di specie, la Suprema Corte ha osservato che il sopravvenuto fallimento non è sufficiente a giustificare il precedente omesso versamento, in quanto il datore di lavoro deve ripartire le risorse esistenti nel momento della corresponsione dei salari in maniera tale da poter onorare i propri obblighi, pur se ciò potrebbe comportare l’impossibilità di pagare “in toto” le retribuzioni.
Si tratta di una sentenza in controtendenza rispetto all’orientamento tenuto da alcuni Tribunali in materia di omessi versamenti tributari e contributivi a causa di difficoltà economiche, i quali ritenendo escluso l’elemento soggettivo del reato considerando che nel periodo in contestazione la società versava in gravi difficoltà finanziarie, poi culminate nel fallimento intervenuto successivamente al mancato versamento.

Sulla base della costante giurisprudenza di legittimità, confermata anche nel caso in commento, il reato di omesso versamento delle ritenute è caratterizzato da dolo generico ed integrato dalla consapevole scelta di omettere i versamenti dovuti, non rilevando il fatto che l’agente tenuto al versamento attraversi una fase di criticità e destini risorse finanziarie per fare fronte a debiti ritenuti più urgenti.
Inoltre, il reato è configurabile anche nel caso in cui si accerti l’esistenza del successivo stato di insolvenza dell’imprenditore, in quanto è suo onere ripartire le risorse esistenti al momento di corrispondere le retribuzioni ai lavoratori dipendenti in modo da poter adempiere all’obbligo del versamento delle ritenute, anche se ciò possa riflettersi sull’integrale pagamento delle retribuzioni medesime .

È bene ricordare che la legge affida al datore di lavoro, in quanto debitore delle retribuzioni nei confronti dei prestatori di lavoro dipendenti, il compito di detrarre dalle stesse l’importo delle ritenute assistenziali e previdenziali dovute e di corrisponderlo agli Enti, in qualità di sostituto d’imposta.
In questa fase, il sostituto adempie contemporaneamente a un obbligo proprio e a un obbligo altrui.
La conclusione che se ne trae è che lo stato di insolvenza non libera il sostituto, dovendo questi adempiere al proprio obbligo di corrispondere le ritenute, così come adempie a quello di pagare le retribuzioni di cui le ritenute stesse sono parte; l’imprenditore, in presenza di una situazione economica difficile, non può addurre a propria discolpa l’assenza dell’elemento psicologico del reato, ricorrendo in ogni caso il dolo generico.

In sostanza vengono ribaditi i caratteri di contestualità e di indefettibilità dell’obbligazione di versamento rispetto al pagamento della retribuzione, mancando ogni presupposto per invocare l’impossibilità di adempiere all’obbligazione, in quanto, la punibilità della condotta consta proprio nel mancato accantonamento delle somme dovute all’Istituto, derivandone che non può ipotizzarsi l’impossibilità di versamento per fatti sopravvenuti, come possono essere una situazione di illiquidità della società rappresentata.

A seguito di quanto sopra esposto, è bene ricordare che il  mancato versamento dei contributi dovuti, entro i termini stabiliti per legge, prevede per il datore di lavoro/committente un sistema sanzionatorio consistente nell'addebito di somme aggiuntive - che maturano in relazione al ritardo nel versamento - la cui misura percentuale, in rapporto al capitale non versato, cambia in relazione alla tipologia di omissione.
Oggi, il regime sanzionatorio in materia di inadempienze contributive è disciplinato dalla L. n. 388/2000 che fornisce un netto criterio distintivo tra omissione ed evasione contributiva:

·         Secondo l’art. 116 c. 8 lett. a), della L. n. 388/2000, per omissione contributiva si intende il mancato o ritardato pagamento dei contributi il cui ammontare è rilevabile dalle denunce e/o registrazioni obbligatorie;
·         costituisce invece evasione contributiva quella connessa a registrazioni non effettuate o a denunce obbligatorie omesse o non conformi al vero. Tale ipotesi si verifica quando “il datore di lavoro, con l' intenzione specifica di non versare i contributi o premi, occulta rapporti di lavoro in essere ovvero le retribuzioni erogate” (art. 116 c. 8 lett. b) L. n. 388/2000.

La medesima norma, con l’obiettivo di favorire l’eliminazione del lavoro irregolare, ha rideterminatole sanzioni, a carico di chi non provvede, entro il termine stabilito, al pagamento di contributi o premi previdenziali ed assistenziali o vi provvede in misura inferiore a quella dovuta:
·         nel caso di omissioni contributive il datore di lavoro è tenuto al pagamento di una sanzione civile, in ragione d’anno, pari al tasso di interesse sulle operazioni di rifinanziamento principali dell’Eurosistema (ex tasso ufficiale di riferimento) maggiorato di 5,5 punti fino ad un massimo del 40% dell’importo dei contributi dovuti e non versati alle scadenze di legge (sanzione civile pari, ad oggi, al 5,75% in ragione d’anno = tasso di interesse dello 0,25% maggiorato di 5,5 punti);
·         nel caso di evasione contributiva il datore di lavoro è tenuto al pagamento di una sanzione civile pari, in ragione d’anno, al 30% il cui ammontare non può essere, in ogni caso, superiore al 60% dell’importo della stessa contribuzione non versata entro la scadenza di legge.

Tuttavia, se il datore di lavoro denuncia spontaneamente la situazione debitoria prima di contestazioni o richieste da parte dell'ente impositore e, comunque, non oltre i 12 mesi dalla scadenza del debito contributivo, provvedendo a versare quanto dovuto entro i 30 giorni successivi a quello della denuncia spontanea, la sanzione civile sarà la medesima di quella prevista nel caso di omissione.


Infine, nell’ipotesi in cui si verifichino delle inadempienze contributive derivanti da oggettive incertezze connesse a contrastanti orientamenti giurisprudenziali o amministrativi sulla ricorrenza dell'obbligo contributivo, successivamente riconosciuto in sede giudiziale o amministrativa, sempreché il pagamento sia effettuato entro i termini fissati dall’ente impositore, la sanzione civile è pari al tasso di interesse sulle operazioni di rifinanziamento principali dell’Eurosistema maggiorato di 5,5 punti percentuali fino a un massimo del 40% dei contributi non corrisposti alla scadenza (sanzione civile pari, ad oggi, al 5,75% , in ragione d’anno = tasso dello 0,25% maggiorato di 5,5 punti).