sabato 28 giugno 2014

FIGURA PROFESSIONALE DEL FISIOTERAPISTA: INTERPELLO 16/2014

La Direzione Generale per l’Attività Ispettiva del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, con  interpello n. 16 del 26 giugno 2014, ha risposto ad un quesito in merito alla corretta interpretazione della disciplina di cui all’art. 69 bis del D.Lgs. n. 276/2003, concernente le prestazioni di lavoro autonomo espletate dai soggetti titolari di partita IVA.
In particolare, si chiede se la presunzione relativa di parasubordinazione, contemplata dalla citata disposizione, possa trovare applicazione nei confronti della categoria professionale dei fisioterapisti, laddove ricorrano i presupposti previsti dalla medesima norma.

Si ricorda che al fine di contrastare l’utilizzo “distorto” dello strumento delle c.d. partite IVA, l’art. 69 bis del D.Lgs. n. 276/2003 disciplina una presunzione di parasubordinazione in virtù della quale è possibile ricondurre le prestazioni di lavoro autonomo ex art. 2222 c.c. nell’ambito della diversa forma di natura autonoma della collaborazione coordinata e continuativa a progetto di cui agli artt. 61 e ss. del citato Decreto.
Come chiarito da questo Ministero con circ. n. 32/2012, la predetta presunzione trova applicazione in presenza di determinate condizioni di legge, salvo prova contraria da parte del committente. La stessa presunzione risulta invece esclusa, ex art. 69 bis, comma 2, nelle ipotesi in cui la prestazione implichi competenze teoriche di grado elevato ovvero capacità tecnico-pratiche, acquisite attraverso rilevanti esperienze e sia svolta da soggetto titolare di un reddito annuo da lavoro autonomo non inferiore a 1,25 volte il livello minimo imponibile ai fini del versamento dei contributi previdenziali.
La presunzione non opera, inoltre, ai sensi del comma 3 del medesimo articolo, in relazione “alle prestazioni lavorative svolte nell’esercizio di attività professionali per le quali l’ordinamento richiede l’iscrizione ad un ordine professionale, ovvero ad appositi registri, albi, ruoli o elenchi professionali qualificati e detta specifici requisiti e condizioni”.
Con Decreto del 20 dicembre 2012 questo Ministero ha provveduto ad effettuare una “ricognizione” delle suddette attività, individuando i seguenti criteri di ordine generale:
- “gli ordini o collegi professionali, i registri, gli albi, i ruoli e gli elenchi professionali (…) sono esclusivamente quelli tenuti o controllati da una amministrazione pubblica di cui all’art. 1, comma 2, del D.lgs. n. 165/2001 nonché da federazione sportive”;
- “l’iscrizione è subordinata al superamento di un esame di stato o comunque alla necessaria valutazione, da parte di specifico organo, dei presupposti legittimanti lo svolgimento delle attività”.
Ai fini della soluzione del quesito, occorre dunque verificare se i due requisiti sopra richiamati siano riscontrabili con riferimento alla figura professionale in esame.

Dalla lettura dell’art. 2 del Decreto del Ministero della Sanità del 14 settembre 1994, n. 741, si evince che “il diploma universitario di fisioterapista abilita all’esercizio della professione”. Lo stesso viene, infatti, rilasciato a seguito del completamento del corso di studi e del superamento di un esame finale che involge la valutazione di una specifica commissione costituita presso l’Università. Il possesso di tale diploma – conseguito ai sensi dell’art. 6, comma 3, del D.Lgs. n. 502/1992 o di diploma o attestato equipollente ovvero titolo riconosciuto ai sensi della normativa statale vigente – costituisce, inoltre, requisito indispensabile ai fini dell’iscrizione negli elenchi professionali dei fisioterapisti, laddove istituiti con legge regionale.
Alla luce delle osservazioni svolte, si ritiene pertanto che l’attività svolta dai fisioterapisti possa essere ricompresa nell’ambito delle prestazioni professionali di cui all’art. 69 bis, comma 3, con la conseguente esclusione dall’applicazione della presunzione, solo nella misura in cui gli stessi risultino in possesso del diploma abilitante, nonché iscritti in appositi elenchi professionali, tenuti e controllati da parte di una amministrazione pubblica, ai sensi dell’ art. 1, comma 2, del D.Lgs. n. 165/2001.

A prescindere dall’operatività o meno della presunzione, resta fermo che laddove siano riscontrabili gli usuali indici di subordinazione, la prestazione di lavoro autonomo dei fisioterapisti potrà essere “direttamente” ricondotta ad un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.

domenica 22 giugno 2014

SGRAVIO CONTRIBUTIVO PER L’INCENTIVAZIONE DELLA CONTRATTAZIONE DI SECONDO LIVELLO PER L’ANNO 2013: LE ISTRUZIONI INPS

Con la circolare 78 del 17 giugno 2014, l’Inps ha riepilogato le condizioni per la fruizione dello sgravio contributivo sulle somme previste dai contratti collettivi di 2° livello erogate nel 2013. Con l’articolo 4 c. 28 della L. n. 92/2012 il legislatore ha apportato modifiche alla regolamentazione dello sgravio contributivo in favore della contrattazione di secondo livello.
Anche per il 2013 il beneficio può trovare applicazione in relazione a quanto previsto da contratti collettivi di lavoro sottoscritti a livello aziendale o territoriale da associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale ovvero dalle loro rappresentanze sindacali operanti in azienda ai sensi della normativa di legge e degli accordi interconfederali vigenti.

Per l’anno 2013, il DM stabilisce che lo sgravio contributivo sugli importi previsti dalla contrattazione collettiva aziendale, territoriale, ovvero di secondo livello, possa essere concesso entro il limite del 2,25% della retribuzione contrattuale annua di ciascun lavoratore.
Per la determinazione del limite entro il quale è possibile fruire dello sgravio contributivo, assume rilevanza la retribuzione “contrattuale”.
Nei limiti del tetto della retribuzione del lavoratore, la norma prevede la concessione di uno sgravio contributivo così articolato:
-        entro il limite massimo di 25 punti dell’aliquota a carico del datore di lavoro, al netto delle riduzioni contributive per assunzioni agevolate, delle eventuali misure compensative spettanti e, in agricoltura, al netto delle agevolazioni per territori montani e svantaggiati;
-        totale sulla quota del lavoratore.

Per accedere allo sgravio contributivo, i contratti collettivi aziendali e territoriali, ovvero di secondo livello devono presentare le seguenti caratteristiche:
-        essere sottoscritti dai datori di lavoro e depositati (ove già non lo fossero stati), a cura dei medesimi o delle associazioni a cui aderiscono, presso le Direzioni territoriali del Lavoro, entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto interministeriale in oggetto;
-        prevedere erogazioni correlate ad incrementi di produttività, qualità, redditività, innovazione ed efficienza organizzativa, oltre che collegate ai risultati riferiti all'andamento economico o agli utili della impresa o a ogni altro elemento rilevante ai fini del miglioramento della competitività aziendale.
Nel caso di contratti territoriali, qualora non risulti possibile la rilevazione di indicatori a livello aziendale, i criteri di erogazione da assumere saranno legati agli andamenti delle imprese del settore sul territorio.

La fruizione dell’incentivo rimane, inoltre, subordinata al rispetto delle condizioni previste dall’articolo 1, comma 1175 della L. n. 296/2006 in materia di regolarità contributiva e di rispetto della parte economica degli accordi e contratti collettivi. In caso di indebita fruizione del beneficio, i datori di lavoro, fatta salva l’eventuale responsabilità penale ove il fatto costituisca reato, sono tenuti al versamento dei contributi dovuti nonché al pagamento delle sanzioni civili previste dalle vigenti disposizioni.

Per l’accesso al beneficio, quindi, rimane vincolante il deposito presso la Direzione territoriale del lavoro competente degli accordi sottoscritti dai datori di lavoro e ne consegue che, in assenza, non sarà possibile l’ammissione allo sgravio contributivo.

Le aziende, anche per il tramite degli intermediari autorizzati, dovranno inoltrare, esclusivamente in via telematica, apposita domanda all’INPS, entro il 30 giugno 2014.
Il Decreto interministeriale, nello stabilire che l’ammissione al beneficio riguarderà tutte le
domande trasmesse entro il periodo indicato dall’Istituto, si precisa che, entro i 60 giorni successivi alla data fissata quale termine unico per l’invio delle istanze, l’Inps provvederà all’ammissione delle aziende allo sgravio contributivo, dandone tempestiva comunicazione alle stesse e agli intermediari autorizzati.
Nell’ipotesi in cui le risorse disponibili non consentissero la concessione dello sgravio nelle misure indicate nelle richieste aziendali, ferma restando l'ammissione di tutte le domande trasmesse nei termini, l’Istituto provvederà alla riduzione degli importi in percentuale pari al rapporto tra la quota globalmente eccedente e il tetto di spesa annualmente stabilito. Tale eventuale ridefinizione delle somme sarà comunicata ai richiedenti in sede di ammissione all’incentivo.

Come già precisato, la concreta fruizione del beneficio resta, inoltre, subordinata alla verifica, da parte dell’Istituto, del possesso dei requisiti di regolarità contributiva.

domenica 15 giugno 2014

GLI ASPETTI FISCALI DEGLI ACCORDI TRANSATTIVI CON I DIPENDENTI

L’art. 6 c. 2 del Tuir stabilisce che “i proventi conseguiti in sostituzione di redditi, anche per effetto di cessione dei relativi crediti, e le indennità conseguite, anche in forma assicurativa, a titolo di risarcimento di danni consistenti nella perdita di redditi, esclusi quelli dipendenti da invalidità permanente o da morte, costituiscono redditi della stessa categoria di quelli sostituiti o perduti“.
Alla luce di quanto sopra esposto, è possibile eseguire un’analisi del trattamento fiscale di due diverse fattispecie:
 
-        nel caso in cui vengano erogate delle somme a titolo di sostituzione o integrazione del reddito da lavoro, queste saranno soggette a tassazione (LUCRO CESSANTE);
-        viceversa, nel caso in cui la somma sia erogata a titolo di risarcimento del danno, intesa come mera reintegrazione patrimoniale delle perdite subite, questa non sarà tassabile (DANNO EMERGENTE).

In questo modo si è espressa anche l’Amministrazione finanziaria  con la Risoluzione n. 155/E/2002, secondo la quale, in tema di risarcimento danni o indennizzi percepiti da un soggetto, vanno assoggettate a tassazione le somme corrisposte per integrare o sostituire la mancata percezione di redditi di lavoro, cioè il mancato guadagno, il lucro cessante appunto.
Diversamente, laddove il risarcimento erogato indennizzi il percettore delle spese sostenute e abbia, quindi, la funzione di reintegrazione patrimoniale tale somma non sarà soggetta a tassazione, poiché prevale la funzione reintegrativa del danno subito dal soggetto leso e manca la finalità sostitutiva o integrativa di eventuali trattamenti retributivi.
È opportuno ricordare che la non tassabilità delle somme incassate presupporrà la presenza di una prova tangibile e documentale circa l’effettiva presenza di un danno emergente (come, a titolo esemplificativo, la presenza di fatture, ricevute e documenti che ne attestino e ne quantifichino la portata.
In alcuni casi , però, si potrebbe rilevare un danno emergente anche senza una rilevante presenza di prove documentali, come nel caso del risarcimento del danno alla professionalità e all’immagine patito da un lavoratore derivante da un demansionamento operato dal datore di lavoro (Cass. Sez. Trib. n. 28887/2008).

Per quanto riguarda il corretto inquadramento fiscale delle somme erogate a seguito di conciliazione giudiziale, nel caso in cui quest’ultima si fondi sul quantum, la controversia non riguarderà la prestazione d’opera bensì il valore attribuibile ad essa; la somma erogata, quindi, derivando dalla prestazione lavorativa, costituirebbe reddito di lavoro dipendente. Viceversa, nel caso in cui la conciliazione riguardi la fondatezza della pretesa, questa costituirà una situazione giuridica nuova e certa in sostituzione di una precedente incerta.

Nella pratica si assiste ad alcuni casi in cui:

-        il datore di lavoro, pur non riconoscendo le pretese dei lavoratori dipendenti, decida di erogare delle somme al solo scopo di conciliare la controversia;
-        i lavoratori dipendenti, con l’accettazione di tali somme, si obbligano a rinunciare alla lite giudiziale e a far valere le proprie pretese.

In questi termini l’accordo perfezionato assume titolo novativo, qualificandosi come un contratto con il quale i soggetti interessati sostituiscono un nuovo rapporto a quello originario ai sensi dell’art. 1965 c. 2 cc, pertanto le somme riconosciute non hanno la finalità di eliminare l’incertezza oggetto della lite e nemmeno di rappresentare un riconoscimento di qualsivoglia diritto vantato dal lavoratore, bensì vengono erogate al solo fine di evitare un eventuale futuro contenzioso che potrebbe sorgere tra le parti.

In questo caso, dal punto di vista fiscale, gli effetti del procedimento conciliativo si sostanziano in un’obbligazione di non fare da parte dei lavoratori dipendenti i quali si obbligano a non proseguire la controversia a fronte del percepimento di una determinata somma di denaro, la quale da una parte costituirà un’autonoma fattispecie impositiva in capo al lavoratore inquadrabile nei redditi diversi ex art. 67, comma 1, lett. l) del Tuir, facendo insorgere in capo all’erogante sostituto d’imposta, l’obbligo di effettuare all’atto del pagamento, la ritenuta a titolo d’acconto ex art. 25 del D.P.R. n. 600/73.

sabato 7 giugno 2014

LE PROROGHE NEL CONTRATTO A TERMINE

Tra le novità più importanti con riferimento alla disciplina dei contratti a termine dopo le modifiche introdotte con il D.L. n. 34/2014 convertito nella L. n. 78/2014 è sicuramente opportuno annoverare quella delle proroghe.

-        NORMATIVA ANTE 20 MARZO 2014: la proroga era al singolo contratto e poteva essere prevista anche per un periodo superiore al termine iniziale (entro il tetto massimo dei 36 mesi) a condizione che vi fosse il consenso del lavoratore, che si riferisse alla stessa attività lavorativa e che sussistessero ragioni oggettive.
-        COSA CAMBIA CON LA L. N. 78/2014: superata in fase di conversione la previsione dell’originario D.L. n. 34/2014 che prevedeva 8 proroghe nell’ambito dello stesso contratto, attualmente il numero massimo delle stesse viene stabilito in 5 nell’ambito dei 36 mesi, prescindendo dal numero dei rinnovi contrattuali. Ciò significa che le proroghe devono essere spese nell’arco temporale massimo previsto e non sono più riferite ai singoli contratti a tempo determinato.
Ne deriva che il datore di lavoro può stipulare sia una pluralità di contratti a termine sia attingere alle proroghe e, infine, ricorrendone le condizioni, ricorrere alla possibilità di “sforamento” del termine, con la prosecuzione del rapporto fino a 30 o 50 giorni con le maggiorazioni legali previste dall’art. 5 del D.Lgs. n. 368/2001.
Infatti, è opportuno ricordare che le motivazioni oggettive, determinanti per la legittimità della proroga secondo la previgente normativa, non ci sono più, in coerenza con il fatto che, più in generale, è stato superato il requisito delle ragioni giustificatrici.
Tuttavia, il consenso del lavoratore è sempre richiesto, pertanto nulla è cambiato rispetto al passato.
Inoltre, la proroga deve riguardare la stessa attività lavorativa; in attesa di auspicabili chiarimenti amministrativi è necessario attenersi al rispetto del principio secondo cui il lavoratore possa essere utilizzato, anche in reparti od uffici diversi, soltanto per le mansioni per le quali è stato sottoscritto il contratto originario.
Un’ulteriore novità derivante dalla fine delle ragioni giustificatrici è rappresentata dalla cancellazione del comma 2 dell’art. 4, l’onere della prova della esistenza delle stesse a carico del datore di lavoro, in quanto esso era divenuto superfluo.
Con riferimento alla applicabilità delle nuove regole ai contratti in essere stipulati prima del 21 marzo 2014, con l’introduzione dell’art. 2 bis si afferma che le modifiche apportate con l’art. 1 si applicano esclusivamente ai rapporti di lavoro instaurati a decorrere dalla data citata, fermi restando gli effetti già prodotti dalle disposizioni del D.L. n. 34/2014 (nella versione “ante modifiche”) che è stato in vigore dal 21 marzo al 19 maggio, in applicazione della regola civilistica, secondo la quale, nei contratti, si applicano le regole vigenti al momenti della loro conclusione.
È infine opportuno sottolineare come, operativamente parlando, un attento uso delle proroghe da parte del datore di lavoro può portare ad minor ricorso allo sforamento del termine finale ricordando che tale flessibilità ha un costo pari al 20% di aumento sulla retribuzione riferita ai primi 10 giorni, che sale al 40% a partire dall’undicesimo.
Si rammenta anche che la proroga deve essere comunicata, entro 5 giorni dal momento in cui è iniziata  e che la sanzione per l’inottemperanza, diffidabile nella misura minima, è compresa tra 100 e 500 euro, mentre lo sforamento non va comunicato, essendo venuto meno l’obbligo, peraltro non sanzionato, per effetto della previsione contenuta nel D.L. n. 76/2013, convertito con modificazioni, nella L. n. 99/2013.

La nuova disciplina delle proroghe non riguarda i contratti a termine che sono al di fuori del campo di applicazione del D.Lgs. n. 368/2001, come nel caso dell’assunzione a tempo determinato dei lavoratori in mobilità per un massimo di 12 mesi; tale esclusione dal campo di applicazione è tuttora sancita dall’art. 10 c. 1 lett. c-ter e questo comporta il fatto che tutta una serie di istituti non sono applicabili a tale fattispecie. Ne sono esempi il fatto che il contratto a termine del lavoratore in mobilità non rientri nella sommatoria dei 36 mesi, all’assenza dell’intervallo tra un contratto e l’altro, allo sforamento del termine fissato e alle proroghe le quali, pur nell’arco temporale considerato che è di 12 mesi, potrebbero anche essere più di 5.

domenica 1 giugno 2014

MODALITÀ OPERATIVE PER LA DETASSAZIONE 2014

Con la circolare n. 14 del 29 maggio 2014 il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali definisce gli ambiti applicativi per usufruire della detassazione 2014 stabilita con il DPCM 19 febbraio 2014.

CONTRATTI COLLETTIVI DI LAVORO: l’erogazione delle somme oggetto di detassazione deve avvenire in esecuzione di contratti collettivi di lavoro sottoscritti a livello aziendale o territoriale da associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale ovvero dalle loro rappresentanze sindacali operanti in azienda. Il Ministero, su questo punto, ribadisce che facendo riferimento alle rappresentanze sindacali operanti “in azienda” e non letteralmente “Rappresentanze Sindacali Aziendali” fanno intendere che il Legislatore voglia indicare tanto le RSA quanto le RSU.
Resta poi ferma la possibilità, per le aziende prive di rappresentanze sindacali in ambito aziendale, di sottoscrivere contratti con una o più associazioni dei lavoratori a livello territoriale.
Quindi, ai fini dell’agevolazione, non potranno essere tenuti in considerazione eventuali contratti nazionali di categoria.

RETRIBUZIONE DI PRODUTTIVITÀ: Per quanto attiene alle retribuzioni di produttività, queste si intendono voci retributive “valorizzate separatamente all’interno della contrattazione collettiva” e suscettibili di variazione in relazione all’andamento dell’impresa.
Tali voci retributive possono far riferimento alternativamente ad indicatori di produttività, redditività, qualità, efficienza o innovazione e pertanto è sufficiente la previsione della correlazione ad uno solo di essi da parte della contrattazione collettiva per l’applicabilità della agevolazioni. In ogni caso, deve trattarsi di importi collegati ad indicatori quantitativi che possono essere anche incerti nella loro corresponsione o nel loro ammontare.
È stato ribadito che l’agevolazione non è condizionata ai risultati effettivamente conseguiti dall’azienda.
Inoltre, in caso di accordi territoriali o aziendali sottoscritti prima del DPCM 2013 ma ancora in vigore, è possibile applicare l’agevolazione a condizione di una rispondenza di tutte o alcune delle misure già contenute nei contratti con le previsioni dello stesso DPCM.
Infine, per le aziende che hanno sottoscritto un contratto aziendale con i presupposti del DPCM del 2013 e che abbiano, lo scorso anno, provveduto al deposito alla DTL di competenza, non devono effettuare alcuna formalità per il 2014 laddove si limitino ad applicare, senza modifica alcuna, l’accordo già depositato e in relazione al quale abbiano già effettuato nel 2013 la dichiarazione di conformità.

Viceversa, per le aziende che non abbiano ancora effettuato alcun adempimento, occorre effettuare il deposito e l’autodichiarazione di conformità degli accordi stipulati nel 2014 entro 30 giorni dall’entrata  in vigore del DPCM 19 febbraio 2014, ovvero rendere la sola autodichiarazione di conformità qualora sia stato effettuato il solo deposito.