domenica 27 luglio 2014

IL DIRITTO DI PRECEDENZA NEI CONTRATTI A TEMPO DETERMINATO ALLA LUCE DELLE MODIFICHE APPORTATE DALLA L. N. 78/2014

La L. n. 78/2014 ha revisionato in maniera consistente l’istituto del diritto di precedenza collegato al contratto a tempo determinato.
Il comma 4-quater del D.Lgs. n. 368/2001 prevede che "il lavoratore che, nell'esecuzione di uno o più contratti a termine presso la stessa azienda, abbia prestato attività lavorativa per un periodo superiore a sei mesi ha diritto di precedenza, fatte salve diverse disposizioni di contratti collettivi stipulati a livello nazionale, territoriale o aziendale con le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, nelle assunzioni a tempo indeterminato effettuate dal datore di lavoro entro i successivi dodici mesi con riferimento alle mansioni già espletate in esecuzione dei rapporti a termine".
Considerevoli novità sono state introdotte con riferimento alle lavoratrici in congedo di maternità.
Infatti, il periodo di congedo di maternità fruito dalle lavoratrici e intervenuto nel corso di un contratto a termine viene conteggiato per determinare il periodo di attività lavorativa utile a conseguire il diritto di precedenza in analisi.
Dall’analisi del dettano normativo si evince che tale passaggio si applica solamente al diritto di precedenza di
cui al comma 4 quater e non anche per i lavoratori assunti per attività stagionali.
Alle lavoratrici di cui detto è, inoltre, riconosciuto il diritto di precedenza anche nelle assunzioni a tempo determinato effettuate dal datore di lavoro entro i successivi dodici mesi, con riferimento alle mansioni già espletate in esecuzione dei precedenti rapporti a termine.
È opportuno sottolineare che solamente il periodo di congedo ricadente entro il termine apposto al contratto concorre quale periodo di attività lavorativa e che l'eventuale periodo successivo alla cessazione del rapporto, anche se indennizzato dall'Istituto direttamente alla lavoratrice, non potrà essere conteggiato.
Per quanto riguarda, invece, il diritto di precedenza previsto per le attività stagionali, si evidenzia come i lavoratori assunti per lo svolgimento di queste attività maturano un diritto di precedenza rispetto a nuove assunzioni a termine da parte dello stesso datore di lavoro per le medesime attività stagionali.

Il diritto di precedenza può essere esercitato dal lavoratore se lo stesso ha manifestato la propria volontà entro rispettivamente sei mesi dalla cessazione, per la casistica generale, e tre mesi dalla cessazione per lo svolgimento di attività stagionali.
Tale diritto di precedenza, se opzionato, si estingue entro un anno dalla data di cessazione del rapporto di lavoro. Decorso tale termine, anche se il lavoratore ha manifestato il proprio interesse a venire di nuovo occupato dal medesimo datore di lavoro, quest'ultimo sarà libero di instaurare un rapporto con un differente lavoratore.
Il diritto di precedenza, dunque, non sorge automaticamente in capo al lavoratore per il solo fatto che il rapporto intercorrente con il datore di lavoro sia cessato in un arco di tempo di dodici mesi precedenti alla
nuova assunzione. Per poter invocare tale diritto di precedenza rispetto ad altri lavoratori, lo stesso dovrà
dimostrare di aver palesato il proprio interesse nei termini sopra descritti.
Ciò significa che non sarà quindi il datore di lavoro a dover formalizzare l'interesse alla stipula di un nuovo contratto nei confronti del lavoratore, bensì quest'ultimo a doversi attivare nei termini sopra descritti.

È infine previsto che il diritto di precedenza debba essere espressamente richiamato nell'atto scritto di apposizione del termine di cui all'articolo 1, comma 2 del D.Lgs. n. 368/2001.
Tale scelta cerca, infatti, di sanare il contenzioso che si è venuto a creare con l'Inps nel corso degli ultimi anni, alla luce di quanto previsto dalle novità introdotte dalla L. n. 92/2012 per la fruizione delle agevolazioni contributive.
L'Istituto, infatti, ha sempre letto erroneamente il diritto di precedenza per i lavoratori a tempo determinato come un diritto che sorge ex lege, dimenticandosi che lo stesso potrà essere fatto valere solamente a seguito di attivazione da parte del lavoratore.
Questo significa che, ai fini del diritto di precedenza in analisi, il datore di lavoro, fino a che il lavoratore non palesi espressamente l'interesse ad essere successivamente riassunto nei termini legali o contrattuali previsti, è libero di instaurare un rapporto con altri lavoratori o di riassumere lo stesso lavoratore con agevolazioni contributive, se presenti. Il discorso si ribalterebbe, ovviamente, nel caso in cui il datore di
lavoro procedesse ad assumere il lavoratore stesso, o altro lavoratore, con agevolazioni contributive successivamente alla comunicazione di interesse del lavoratore ad una eventuale successiva assunzione.

Non è possibile, come prospettato dall'Inps, che un ipotetico diritto di precedenza, all'atto dell'assunzione non ancora opzionato, inibisca il riconoscimento delle agevolazioni contributive, poiché se non esiste alcuna manifestazione di volontà del lavoratore, il datore di lavoro non ha alcun vincolo legale nei confronti dello stesso e, pertanto, può reputarsi libero di assumere un diverso lavoratore fruendo delle agevolazioni.

sabato 19 luglio 2014

TENTATIVO DI CONCILIAZIONE: COSA ACCADE QUANDO LA RICHIESTA NON PERVIENE AL DATORE DI LAVORO ENTRO 60 GIORNI DAL LICENZIAMENTO?

Con la sentenza n. 12890 del 9 giugno 2014 ha rilevato che il datore di lavoro il quale non riceva la richiesta di tentativo di conciliazione entro i 60 giorni successivi al licenziamento non deve ritenere decaduto il diritto all'impugnativa, in quanto non rileva che la richiesta sia stata portata a sua conoscenza, ma che la stessa sia stata regolarmente presentata alla competente commissione di conciliazione.
Già la Corte di Appello aveva sottolineato che ai fini tempestività dell'impugnativa del licenziamento era sufficiente la richiesta effettuata, nel termine di cui all'art. 6 della L. n. 604/1966, alla Commissione provinciale di conciliazione presso la Direzione Provinciale del lavoro dell'esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione.
Nel ricorrere per Cassazione, la società resistente sul punto chiedeva alla suprema Corte se, ai sensi dell'art. 410 c. 2 cpc la richiesta di esperimento del tentativo di conciliazione, non comunicata al datore di lavoro, sia inidonea a sospendere la decadenza prevista dall'art. 6, commi 1 e 2, Legge 604/1966 e, nel caso di specie, dell'art. 5 n. 3 L. n. 223/1991 e, pertanto, se la mancata comunicazione della richiesta di conciliazione al datore di lavoro nel termine di 60 giorni dalla comunicazione del licenziamento comporti la decadenza dal diritto di impugnare il recesso in assenza di altre idonee comunicazioni.
In merito, la Cassazione si è espressa dando risposta negativa.


Infatti la stessa Corte già con sentenza n. 17231 del 22 luglio 2010, nel confermare quanto già sancito con sentenza n. 14087 del 19 giugno 2006, ha affermato il principio, qui ribadito, che alla luce di una lettura costituzionalmente orientata delle norme applicabili in materia di decadenza dal potere di impugnare il licenziamento, non è necessario che l'atto di impugnazione del licenziamento giunga a conoscenza del destinatario nel predetto termine, ovvero, in particolare, che esso pervenga all'indirizzo del datore di lavoro entro i 60 giorni previsti dall'art. 6 della L. n. 604/1966 per evitare la decadenza dalla facoltà di impugnare, in quanto, ai sensi dell'art. 410 cpc, secondo comma, il predetto termine, di natura processuale con riflessi di natura sostanziale, si sospende a partire dal deposito dell'istanza di espletamento della procedura obbligatoria di conciliazione, contenente l'impugnativa scritta del licenziamento, presso la Commissione di conciliazione e divenendo irrilevante, in quanto estraneo alla sfera di controllo del lavoratore, il momento in cui l'ufficio provinciale del lavoro provveda a comunicare al datore di lavoro la convocazione per il tentativo di conciliazione.

sabato 12 luglio 2014

ILLEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE DI ALCUNE SANZIONI IN MATERIA DI ORARIO DI LAVORO

La Direzione Generale per l’Attività Ispettiva del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha pubblicato la lettera circolare n. 12552 del 10 luglio 2014, con la quale fornisce le indicazioni operative circa l’incostituzionalità, per contrasto con l’articolo 76 della Costituzione, di alcune sanzioni per violazioni alle norme in materia di orario di lavoro, prevista dalla sentenza n. 153 del 21 maggio 2014 della Corte Costituzionale.
L’illegittimità riguarda il sistema sanzionatorio legato alle seguenti violazioni:

·         durata massima dell’orario di lavoro;
·         riposo giornaliero;
·         riposo settimanale;
·         ferie annuali

La sentenza, in particolare, ha ritenuto costituzionalmente illegittima la disposizione contenuta nell’articolo 18-bis, commi 3 e 4, del decreto legislativo n. 66/2003, nel testo introdotto dall’art.1, comma 1, lett. f), del decreto legislativo n. 213/2004, nella misura in cui ha introdotto un regime sanzionatorio sensibilmente più severo rispetto a quello previgente, nonostante il legislatore, nell’ambito della legge di delega, avesse richiesto “in ogni caso (…) sanzioni identiche a quelle eventualmente già comminate dalle leggi vigenti per le violazioni che siano omogenee e di pari offensività rispetto alle integrazioni alle disposizioni dei decreti legislativi“.
Inoltre, l’illegittimità attiene esclusivamente alla disciplina in vigore dal 1° settembre 2004 al 24 giugno 2008.
In considerazione di tutto ciò, le indicazioni ministeriali attengono alle sanzioni riferite alle violazioni connesse a tale arco temporale (dal 1° settembre 2004 al 24 giugno 2008), senza interessare le successive modifiche legislative.
La perdita di efficacia della disciplina introdotta dal D.Lgs. n. 213/2004 va ad incidere su tutte quelle situazioni giuridiche pregresse che siano ancora aperte o pendenti, mentre non investe le vicende “chiuse”, in quanto regolate da sentenze definitive, da atti amministrativi definiti, oppure nei casi di decorrenza del termine di prescrizione o dal verificarsi di decadenze.
Negli altri casi, le Direzioni territoriali del lavoro (DTL) dovranno provvedere a rideterminare gli importi scaturiti dalle predette violazioni secondo il regime sanzionatorio di cui all’art. 9 del R.D.L. n. 692/1923 e all’articolo 27 della legge n. 370/1934.

Nei casi in cui il procedimento sanzionatorio risulti definitivamente chiuso (verbali già pagati, ordinanze per cui sono spirati i termini di opposizione, ovvero in caso di contenziosi con sentenze passate in giudicato), non si avrà alcuna estensione degli effetti della sentenza in esame, con conseguente intangibilità degli atti adottati; ciò in quanto, ai sensi dell’articolo 136 della Costituzione, “quando la Corte dichiara l’illegittimità costituzionale di una norma di legge o di atto avente forza di legge, la norma cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione” salvo, evidentemente , le situazioni non ancora definite nel merito.

sabato 5 luglio 2014

INPS: MANUALE DI CLASSIFICAZIONE DEI LAVORI DI LAVORO, ISTRUZIONI PER L’USO

Con la circolare n. 80 del 25 giugno 2014, l’Inps ha illustrato le funzionalità della procedura automatizzata di inquadramento contributivo dei datori di lavoro.
L’evoluzione tecnologica e normativa consente di semplificare la procedura di inquadramento dei datori di lavoro mediante un nuovo sistema automatizzato in grado di attribuire, in tempo reale, la matricola, il codice statistico contributivo (CSC) e gli eventuali codici di autorizzazione che potrebbero avere effetto su tipologia e misura dei contributi dovuti; inoltre, il nuovo sistema è coerente con l’impianto normativo definito dall’art. 49 della L. n. 88/89, che assegna all’Istituto il potere di attribuire l’inquadramento previdenziale dei datori di lavoro.
La procedura automatizzata di inquadramento non modifica le regole finora seguite, che prevedono l’attribuzione ai datori di lavoro di una classificazione nel settore di riferimento in relazione all’attività effettivamente esercitata con i dipendenti assunti.
In caso di svolgimento di attività multiple, non connotate dai caratteri dell’autonomia funzionale ed organizzativa, ai fini dell’inquadramento, l’oggetto dell’azienda deve essere valutato unitariamente sulla base della natura dell’attività prevalente, con l’individuazione di quella primaria; da ciò deriva che l’inquadramento è di regola unico ed è determinato appunto dall’attività prevalente; le altre attività sono considerate accessorie alla principale e, di conseguenza, assimilate alla stessa, dovranno seguirne il regime giuridico e contributivo.
Ciò tuttavia non impedisce, nel caso in cui vengano svolte attività multiple, l’apertura di una posizione per l’attività secondaria, diversa da quella principale, qualora l’attività secondaria rientri in un diverso settore e presenti i caratteri di autonomia funzionale ed organizzativa, che legittimino l’attribuzione di distinti inquadramenti previdenziali.
La nuova procedura di iscrizione dei datori di lavoro prevede che, nella generalità dei casi, l’inquadramento dei datori di lavoro avvenga automaticamente al momento di presentazione della domanda.
È bene notare che alcune attività non saranno suscettibili di inquadramento automatizzato sia per la specificità delle stesse, sia per necessità di maggiori approfondimenti sulle modalità di svolgimento dell’attività con dipendenti; in questi casi, l’inquadramento sarà effettuato dalla sede INPS di competenza.
La nuova procedura automatizzata di inquadramento è strutturata per attribuire ai datori di lavoro l’inquadramento previdenziale  sulla base dell’autocertificazione dell’attività dichiarata e, qualora sia necessario, sulla base dell’autocertificazione dell’attività attraverso la compilazione di un questionario, personalizzato in base all’attività indicata.
L’innovazione in argomento, quindi, attiene anche ai rapporti tra l’Istituto e i datori di lavoro e i loro intermediari che, in tal modo, diventano soggetti che partecipano in maniera diretta alla formazione del provvedimento di inquadramento.
Resta immutato il potere/dovere dell’Inps di effettuare i controlli delle autocertificazioni.
Tutte le iscrizioni effettuate mediante il sistema automatizzato di inquadramento saranno, quindi, sottoposte a verifica automatizzata per il riscontro di quanto dichiarato. In caso di esito positivo, l’inquadramento automatizzato attribuito sarà consolidato.
Qualora, invece, l’esito dei controlli evidenziasse difformità rispetto a quanto dichiarato, la sede competente per la gestione della matricola aziendale contatterà direttamente il datore di lavoro/intermediario per evidenziare le anomalie riscontrate.
Nel caso in cui l’inquadramento sia stato attribuito sulla base di un’autocertificazione che non abbia trovato riscontro, la sede modificherà l’inquadramento sulla base delle risultanze dell’istruttoria con decorrenza retroattiva. In questo caso, infatti, l’inquadramento è stato attribuito sulla scorta di dati forniti che non sono risultati veritieri e non a seguito di cambio di orientamento dell’Istituto sulla classificazione di quella determinata attività.
 Con il Regolamento (CE) n. 1893/2006 del 20 dicembre 2006, successivamente modificato dal Regolamento (CE) n. 295/2008  dell’11 marzo 2008 è stata adottata, a livello europeo, una nomenclatura unica delle attività economiche finalizzata ad assolvere all’esigenza di pervenire a una classificazione di riferimento unica a livello mondiale.
A livello nazionale, detta nuova nomenclatura viene rappresentata dalla tabella ATECO 2007, utilizzata dalla Pubblica Amministrazione quale sistema comune di classificazione delle attività economiche.
Per individuare correttamente il settore di inquadramento aziendale, nei rapporti con l’INPS deve essere sempre indicato un codice a 6 cifre, contenente cioè il maggior dettaglio possibile, al fine di individuare correttamente il settore di inquadramento del datore di lavoro. 
La classificazione ATECO 2007, ai fini Inps, talvolta non è esaustiva per le necessità di inquadramento previdenziale in quanto esistono attività che non sono censite dall’ISTAT (es. i proprietari di fabbricato, gli assistenti parlamentari assunti direttamente dal parlamentare, i cantieri di lavoro delle Pubbliche Amministrazioni, ecc…). In tal caso, nel manuale allegato, la classificazione ufficiale ATECO 2007 è stata integrata con codici di classificazione delle attività ad uso esclusivo dell’INPS (Sezione “Attività dei datori di lavoro non censite dall’ISTAT”).
L’inquadramento attribuito dall’Inps, effettuato ai sensi dell’art. 49 della legge 88/89, è codificato con il codice statistico contributivo (CSC) composto da cinque cifre, dove:
•la prima cifra identifica il settore di attività;
•la seconda e terza cifra identificano la classe di attività nella quale opera il datore di lavoro (es: tessile, edilizia, metalmeccanica, ecc.);
•la quarta e la quinta cifra identificano la categoria, ossia la famiglia delle attività di dettaglio esercitate nell’ambito della classe.
Qualora, in relazione a specificità di interesse contributivo, sia necessario distinguere, all’interno di un CSC, alcune situazioni particolari, la posizione contributiva viene contraddistinta anche da un codice di autorizzazione (CA). Se, quindi, all’interno del manuale, in corrispondenza di un’attività economica viene riportato oltre al CSC anche un codice di autorizzazione, ciò significa che, ai fini di un corretto inquadramento, devono essere attribuiti entrambi.

Con la circolare n. 172 del 31/12/2010 è stato introdotto il principio dell’unicità della posizione contributiva.
Al riguardo, in considerazione delle disposizioni che regolano l’apertura di distinte posizioni aziendali in ragione delle quali, a norma dell’articolo 49 della legge 9 marzo 1989, n. 88, sono previsti obblighi contributivi differenziati in capo al medesimo datore di lavoro e dalle quali possono discendere anche diversità di classificazione ai fini previdenziali e assistenziali, si evidenzia che il principio dell’unicità della posizione contributiva aziendale non può considerarsi discrezionale ma deve intendersi come obbligatorio.
Per consentire, tuttavia, un graduale adeguamento di tutti gli attori del sistema alle regole dell’unicità della posizione contributiva, viene previsto un periodo transitorio, fino al 31.12.2014, entro il quale, datori di lavoro e/o intermediari dovranno registrare nella procedura Iscrizioni e Variazioni le Unità operative alle quali abbinare i lavoratori che attualmente fanno capo a matricole aziendali diverse e chiedere la chiusura delle posizioni contributive (matricole) secondarie.
In caso di mancato adempimento, le Sedi cesseranno d’ufficio le posizioni contributive secondarie aventi il medesimo inquadramento previdenziale della posizione primaria.

Si fa presente, ad ogni modo, che non potranno più essere riattivate le posizioni contributive secondarie che siano sospese durante il periodo transitorio.