domenica 25 maggio 2014

USO DELL’AUTOVETTURA AZIENDALE DA PARTE DEL LAVORATORE DIPENDENTE: FRINGE BENEFIT E RIMBORSI SPESE

Rientrano nella categoria dei  redditi di lavoro dipendente non soltanto gli emolumenti versati al lavoratore, ma anche i compensi in natura o fringe benefits, vale a dire i benefici marginali che il datore di lavoro attribuisce al lavoratore in aggiunta alla normale retribuzione.

Nel caso di specie, si fa dunque riferimento alla concessione ai dipendenti dei veicoli aziendali e della valutazione del fringe benefit connesso, ossia della retribuzione in natura derivante dalla concessione dell’auto aziendale, che si ottiene attraverso il calcolo dei costi chilometrici.
L’utilizzo dell’autovettura da parte dei lavoratori dipendenti può realizzare le seguenti fattispecie:

1. USO PROMISCUO DEL VEICOLO: la tassazione dell’uso promiscuo dell’auto aziendale da parte del dipendente deriva dal beneficio che lo stesso ne trae utilizzando, per fini privati, un’autovettura aziendale; beneficio che di conseguenza concorre alla formazione del reddito imponibile del lavoratore.
Dal punto di vista del lavoratore, per la quantificazione della parte del beneficio che concorre alla formazione del proprio reddito, occorre considerare una serie di elementi:
·         le tabelle ACI (aggiornate annualmente per la determinazione del rimborso chilometrico) che stabiliscono il costo al chilometro dell’autovettura, differenziato a seconda delle caratteristiche della stessa. Nel caso in cui la vettura in esame non sia contenuta nell’elenco ACI è consuetudine fare riferimento a un modello avente le caratteristiche più simili a quella utilizzata;
·         un moltiplicatore pari a 15.000, facente riferimento alla percorrenza convenzionale annua dell’autovettura;
·         la misura del 30%, rappresentante la quota attribuibile all’uso privato dell’auto aziendale da parte del dipendente;
·         il numero dei giorni, rapportati all’anno, in cui l’autovettura è stata assegnata al dipendente;
·         le eventuali trattenute operate al dipendente, comprendenti tutte le somme da lui versate in cambio della possibilità di utilizzare l’auto aziendale per fini personali.

Le eventuali spese aggiuntive (pedaggi autostradali, pagamento del parcheggio, ecc) saranno considerate imponibili soltanto se non riconducibili direttamente allo svolgimento dell’attività lavorativa.
Per quanto riguarda, invece, la prospettiva del datore di lavoro ai fini della composizione del reddito di impresa, tutti i costi sostenuti nel periodo di imposta dal datore di lavoro per l’autovettura assegnata al dipendente per fini promiscui, sono deducibili nella misura del 70% del loro importo totale. È importante ricordare che, ai fini della deducibilità, è necessario che l’assegnazione dell’autovettura risulti da un’apposita comunicazione di assegnazione, resa dal datore di lavoro al dipendente.


2. USO ESCLUSIVAMENTE AZIENDALE DEL VEICOLO: nel caso in cui il dipendente utilizzi l’autovettura soltanto per fini connessi allo svolgimento della propria attività lavorativa, l’assegnazione dell’auto aziendale non produce alcun beneficio marginale al lavoratore, pertanto non si configurerà alcuna ipotesi di beneficio in natura e il reddito da lavoro dipendente non subirà alcun incremento.
Dal punto di vista del datore di lavoro, i costi inerenti il veicolo aziendale saranno interamente deducibili dal reddito d’impresa solo nel caso in cui l’utilizzo del suddetto mezzo, previa valutazione della strumentalità del bene.

3. USO ESCLUSIVAMENTE PRIVATO DEL VEICOLO: in questo caso l’utilizzo del bene si configurerà come fringe benefit e il suo valore concorrerà alla formazione del reddito da lavoro dipendente.
Tuttavia, non essendo il veicolo destinato a un uso promiscuo, non troverà applicazione la previsione della determinazione del valore forfettario, quindi il parametro utilizzato ai fini della valutazione del compenso in natura del dipendente sarà il valore normale del bene.
Per quanto attiene la sfera del datore di lavoro, l’importo fiscalmente deducibile dal reddito d’impresa si ottiene confrontando il valore normale del bene con le spese sostenute dall’azienda per il bene stesso, assumendo il minore tra i due importi.

4. UTILIZZO DELL’AUTO DI PROPRIETÀ DEL DIPENDENTE PER LO SVOLGIMENTO DELLA PROPRIA ATTIVITÀ LAVORATIVA: in quest’ultimo caso il rimborso chilometrico sarà determinato sulla base del tipo di autovettura e dei chilometri effettivamente percorsi dal lavoratore.

Per la valutazione del costo chilometrico si potrà far riferimento alle tabelle ACI, ovvero a specifici accordi intervenuti tra datore di lavoro e dipendente; trattandosi di un mero rimborso spese, l’importo erogato al lavoratore non sarà soggetto ad alcuna imposizione previdenziale e fiscale

domenica 18 maggio 2014

VIA LIBERA AL JOBS ACT

La Camera dei Deputati ha dato il via libera definitivo alla conversione in legge del DL n. 34/2014  che ora attende solo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.
Le principali misure previste dal provvedimento sono le seguenti:

CONTRATTO A TERMINE

·         previsto  l’innalzamento a 3 anni, comprensivi di un massimo di 5 proroghe, della durata del rapporto a tempo determinato, anche in somministrazione, che non necessita dell’indicazione della causale per la sua stipulazione (c.d. acausalità);
·         a fronte dell’eliminazione della causale, viene introdotto un “tetto” all’utilizzo del contratto a tempo determinato, stabilendo che il numero complessivo di rapporti di lavoro a termine costituiti da ciascun datore di lavoro non può eccedere il limite del 20% (o il diverso limite previsto dalla vigente contrattazione collettiva nazionale) dei lavoratori a tempo indeterminato alle sue dipendenze  al 1° gennaio dell’anno di assunzione;
·         attraverso una disciplina transitoria (articolo 2-bis) si prevede che  per i datori che alla data di entrata in vigore del decreto-legge occupino lavoratori a termine oltre tale soglia, l’obbligo di adeguamento al tetto legale del 20% previsto scatta a decorrere dal 2015, sempre che la contrattazione collettiva (anche aziendale) non fissi un limite percentuale o un termine più favorevoli;
·         il superamento del limite comporta una sanzione amministrativa pari al 20% e al 50% della retribuzione per ciascun mese di durata del rapporto di lavoro, se il numero di lavoratori assunti in violazione del limite sia, rispettivamente, inferiore o superiore a uno. Per i datori di lavoro che occupano fino a 5 dipendenti è comunque sempre possibile stipulare un contratto a tempo determinato. Il limite del 20% non trova applicazione nel settore della ricerca;
·         infine, varie disposizioni sono volte ad ampliare e rafforzare il diritto di precedenza delle donne in congedo di maternità per le assunzioni da parte del datore di lavoro, nei 12 mesi successivi, in relazione alle medesime mansioni oggetto del contratto a termine. A tale riguardo si prevede che ai fini dell’integrazione del limite minimo di 6 mesi di durata del rapporto a termine (durata minima che la normativa vigente richiede per il riconoscimento del diritto di precedenza) devono computarsi anche i periodi di astensione obbligatoria per le lavoratrici in congedo di maternità. Si prevede, altresì, che il diritto di precedenza valga non solo per le assunzioni con contratti a tempo indeterminato (come già previsto dalla normativa vigente), ma anche per le assunzioni a tempo determinato effettuate dal medesimo datore di lavoro.
Infine, si stabilisce che il datore di lavoro ha l’obbligo di richiamare espressamente il diritto di precedenza del lavoratore nell’atto scritto con cui viene fissato il termine del contratto.

APPRENDISTATO

·         previste modalità semplificate di redazione del piano formativo individuale, sulla base di moduli e formulari stabiliti dalla contrattazione collettiva o dagli enti bilaterali (quindi è stata reintrodotta la forma scritta);
·         per la stabilizzazione legale degli apprendisti sono ridotti gli obblighi previsti dalla legislazione previgente ai fini di nuove assunzioni in apprendistato, da un lato circoscrivendo l’applicazione della norma alle sole imprese con più di 50 dipendenti, dall’altro riducendo al 20% la percentuale di stabilizzazione;
·         in merito ai profili formativi la Regione provvede a comunicare al datore di lavoro, entro 45 giorni dalla comunicazione dell'instaurazione del rapporto, le modalità di svolgimento dell’offerta formativa pubblica, anche con riferimento alle sedi e al calendario delle attività previste, avvalendosi anche dei datori di lavoro e delle loro associazioni che si siano dichiarate disponibili, ai sensi delle linee guida adottate dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano in data 20 febbraio 2014 ;
·         per quanto attiene alla retribuzione dell’apprendista assunto per la qualifica e per il diploma professionale (no apprendistato professionalizzante), fatta salva l’autonomia della contrattazione collettiva, si prevede che si debba tener conto delle ore di formazione almeno in misura del 35% del relativo monte ore complessivo.

SMATERIALIZZAZIONE DEL DURC

·         si prevede che la verifica della regolarità contributiva nei confronti dell'INPS, dell'INAIL (e, per le imprese operanti nel settore dell'edilizia, delle Casse edili), avvenga, da parte di chiunque vi abbia interesse, in tempo reale e con modalità esclusivamente telematiche, attraverso un’interrogazione negli archivi dei citati enti che ha una validità di 120 giorni a decorrere dalla data di acquisizione. La puntuale definizione della nuova disciplina della materia è rimessa a un decreto interministeriale, da emanare entro 60 giorni dall’entrata in vigore del DL.

CONTRATTI DI SOLIDARIETÀ

·         demandata ad uno specifico decreto interministeriale la definizione dei criteri per l’individuazione dei datori di lavoro beneficiari delle agevolazioni e fissata al 35 % la riduzione della contribuzione previdenziale per i datori di lavoro che stipulano contratti di solidarietà con riduzione dell’orario di lavoro superiore al 20%.


sabato 10 maggio 2014

RETROATTIVITÀ DEL DIVERSO INQUADRAMENTO PREVIDENZIALE INPS

Nel caso in cui l’inquadramento iniziale sia stato determinato da inesatte dichiarazioni del datore di lavoro è necessario equiparare questa situazione a quella dell’omessa comunicazione dei mutamenti intervenuti nell’attività svolta dall’azienda, che, per effetto delle scelte operate dall’imprenditore, assume caratteristiche tali da comportare una diversa classificazione ai fini previdenziali, con conseguente legittimità, da parte Inps, dell’applicazione retroattiva del recupero contributivo.
Tuttavia la questione inerente la retroattività del diverso inquadramento Inps di un’impresa ai fini contributivi , pur nei limiti della prescrizione quinquennale, risulta notevolmente controversa.

Infatti, l’art. 3 c. 8 della L. n. 335/1995 stabilisce che i provvedimenti di variazione della classificazione dei datori di lavoro a fini previdenziali, adottati dall’Inps d'ufficio o su richiesta dell’azienda, producono effetti dal periodo di paga in corso alla data di notifica del provvedimento o della richiesta dell’interessato. Costituisce eccezione a tale regola, con conseguente retroattività degli effetti della variazione della classificazione, la sola ipotesi in cui l’inquadramento iniziale sia stato determinato da inesatte dichiarazioni del datore di lavoro.
Su tale questione, si è pronunciata la Corte di Cassazione con sentenza 11 aprile 2014 n. 8558.
Come già affermato dalla stessa Corte in precedenti occasioni, la disposizione di cui al citato articolo che disciplina la fattispecie dedotta in giudizio, sancisce testualmente: "I provvedimenti adottati d’ufficio dall’Inps di variazione della classificazione dei datori di lavoro ai fini previdenziali, con il conseguente trasferimento nel settore economico corrispondente alla effettiva attività svolta producono effetti dal periodo di paga in corso alla data di notifica del provvedimento di variazione, con esclusione dei casi in cui l’inquadramento iniziale sia stato determinato da inesatte dichiarazioni del datore di lavoro. In caso di variazione disposta a seguito di richiesta dell’azienda, gli effetti del provvedimento decorrono dal periodo di paga in corso alla data della richiesta stessa. Le variazioni di inquadramento adottate con provvedimenti aventi efficacia generale riguardanti intere categorie di datori di lavoro producono effetti, nel rispetto del principio della non retroattività, dalla data fissata dall’Inps. Le disposizioni di cui al primo e secondo periodo del presente comma si applicano anche ai rapporti per i quali, alla data di entrata in vigore della presente legge, pendano controversie non definite con sentenza passata in giudicato".

La suddetta disposizione, nella parte in cui stabilisce che i provvedimenti di variazione della classificazione dei datori di lavoro a fini previdenziali, adottati dall’Inps d'ufficio o su richiesta dell’azienda producono effetti dal periodo di paga in corso alla data di notifica del provvedimento o della richiesta dell’interessato, ha valenza generale, è quindi applicabile ad ogni ipotesi di rettifica di precedenti inquadramenti operata dall’Istituto previdenziale dopo la data di entrata in vigore della predetta legge o anche prima, nel caso in cui la modifica, così come attuata, formi oggetto di controversia in corso a quella stessa data.
L’efficacia ex nunc delle stesse variazioni ("dal periodo di paga in corso alla data di notifica del provvedimento di variazione") che ha lo scopo di non imporre, ai datori di lavoro, le conseguenze sul piano contributivo di eventuali ritardi imputabili all’Ente previdenziale nell’assicurare, appunto, la corrispondenza della classificazione, a fini previdenziali, alla effettiva attività degli stessi datori di lavoro, risulta però espressamente esclusa nei "casi in cui l’inquadramento iniziale sia stato determinato da inesatte dichiarazioni del datore di lavoro".
Tale esclusione, riguardante appunto le ipotesi in cui il ritardo nell’assicurare la corrispondenza della classificazione, a fini previdenziali, alla effettiva attività dei datori di lavoro risulti imputabile non a ritardi dell’Ente previdenziale, ma agli stessi datori di lavoro, risulta del tutto coerente con la ratio della norma.
Inoltre, la deroga deve essere estesa all’ipotesi di omessa comunicazione, agli Enti previdenziali, di variazioni della propria attività, da parte del datore di lavoro, in violazione di obbligo imposto, a pena di sanzione amministrativa.
Questa conclusione risulta conforme non soltanto alle Cass. 23 maggio 2008, n. 13383 e Cass. 18 giugno 2010, n. 14778, ma anche alla precedente Cass. 17 febbraio 1999, n. 1338, nella quale è stato affermato che "il caso dell’azienda, la quale, per effetto delle scelte operate dall’imprenditore, assume caratteristiche tali da comportare una diversa classificazione ai fini previdenziali, è da equiparare all’ipotesi delle dichiarazioni inesatte, atteso che, sia pure in un momento successivo, si realizza discrasia tra l’effettività della situazione e le dichiarazioni, sulle quali la classificazione iniziale era fondata".


Di conseguenza, è evidente come le due condotte (le inesatte dichiarazioni del datore di lavoro in merito all’attività svolta e l’omessa comunicazione dei mutamenti intervenuti nell’attività stessa) non possano non essere equiparate sia per quanto riguarda la relativa sanzione amministrativa, sia con riferimento alla produzione dell’effetto dell’attribuzione della efficacia retroattiva alla variazione della classificazione che viene conseguentemente disposta dall’Ente previdenziale.