domenica 22 febbraio 2015

CONTRATTO A TUTELE CRESCENTI: PRONTA LA VERSIONE DEFINITIVA DEL DECRETO DELEGATO

Il Consiglio dei Ministri ha diffuso la versione definitiva del decreto che disciplina il c.d. contratto a tutele crescenti, introducendo un’importante novità non inclusa nella precedente versione del decreto: l’applicazione delle nuove tutele anche in caso di conversione, successiva all’entrata in vigore del presente decreto, di contratto a tempo determinato o di apprendistato in contratto a tempo indeterminato.
Il decreto dovrebbe entrare in vigore il 1° marzo 2015, di conseguenza la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale è prevista per sabato 28 febbraio 2015.
Di seguito analizziamo gli aspetti maggiormente significativi:

CAMPO DI APPLICAZIONE: la disciplina si applica ai lavoratori che rivestono la qualifica di operai, impiegati o quadri, assunti con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto, anche nei casi di conversione, successiva di contratto a tempo determinato o di apprendistato in contratto a tempo indeterminato.
Il decreto è applicabile anche al datore di lavoro che, in conseguenza di assunzioni a tempo indeterminato avvenute successivamente all’entrata in vigore del presente decreto, integri il requisito occupazionale di cui all’articolo 18 c. 8 e 9 della L. n. 300/1970, in caso di licenziamento di lavoratori anche se assunti precedentemente l’entrata in vigore del decreto;

LICENZIAMENTO DISCRIMINATORIO, NULLO E INTIMATO IN FORMA ORALE: il giudice ordina al datore di lavoro la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, indipendentemente dal motivo formalmente addotto. Il regime di cui al presente articolo si applica anche al licenziamento dichiarato inefficace perché intimato in forma orale.
Con la medesima pronuncia, il giudice condanna il datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore per il licenziamento di cui sia stata accertata la nullità e l’inefficacia, in ogni caso in misura non inferiore a 5 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto. Il datore di lavoro è condannato, altresì, per il medesimo periodo, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali.
Fermo restando il diritto al risarcimento del danno, al lavoratore è data la facoltà di chiedere al datore di lavoro, in sostituzione della reintegrazione nel posto di lavoro, un'indennità pari a 15 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, la cui richiesta determina la risoluzione del rapporto di lavoro, e che non è assoggettata a contribuzione previdenziale.

LICENZIAMENTO PER GIUSTIFICATO MOTIVO E GIUSTA CAUSA: nei casi in cui risulta accertato che non ricorrono gli estremi del licenziamento per giustificato motivo oggettivo o per giustificato motivo soggettivo o giusta causa, il giudice dichiara estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un'indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale di importo pari a 2 mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a 4 e non superiore a 24 mensilità.
Nelle ipotesi di licenziamento per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa in cui sia direttamente dimostrata in giudizio l'insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore, rispetto alla quale resta estranea ogni valutazione circa la sproporzione del licenziamento, il giudice annulla il licenziamento e condanna il datore di lavoro alla reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro e al pagamento di un'indennità risarcitoria non superiore a 12 mensilità dell'ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del
trattamento di fine rapporto. Il datore di lavoro è condannato, altresì, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento fino a quello dell’effettiva reintegrazione, senza applicazione di sanzioni per omissione contributiva.

VIZI FORMALI E PROCEDURALI: nell’ipotesi in cui il licenziamento sia intimato con violazione del requisito di motivazione o della procedura, il giudice dichiara estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un’indennità non assoggettata a contribuzione previdenziale di importo pari a una mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a 2 e non superiore a 12 mensilità, a meno che il giudice, sulla base della domanda del lavoratore, accerti la sussistenza dei presupposti per l’applicazione delle tutele altre tutele previste dal decreto.

OFFERTA DI CONCILIAZIONE: in caso di licenziamento, al fine di evitare il giudizio e ferma restando la possibilità per le parti di addivenire a ogni altra modalità di conciliazione prevista dalla legge, il datore di lavoro può offrire al lavoratore un importo che non costituisce reddito imponibile ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche e non è assoggettata a contribuzione previdenziale, di ammontare pari a una mensilità della retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a 2 e non superiore a 18 mensilità, mediante consegna al lavoratore di un assegno circolare. L’accettazione dell’assegno in tale sede da parte del lavoratore comporta l’estinzione del rapporto alla data del licenziamento e la rinuncia alla impugnazione del licenziamento anche qualora il lavoratore l’abbia già proposta. Le eventuali ulteriori somme pattuite nella stessa sede conciliativa a chiusura di ogni altra pendenza derivante dal rapporto di lavoro sono soggette al regime fiscale ordinario.
In questo caso la comunicazione obbligatoria telematica di cessazione del rapporto è integrata da una ulteriore comunicazione, da effettuarsi da parte del datore di lavoro entro 65 giorni dalla cessazione del rapporto, nella quale deve essere indicata l’avvenuta ovvero la non avvenuta conciliazione e la cui omissione è assoggettata alla medesima sanzione prevista per l’omissione della comunicazione obbligatoria di cessazione. Il modello di trasmissione della comunicazione obbligatoria sarà conseguentemente riformulato.

COMPUTO DELL’ANZIANITÀ NEGLI APPALTI: ai fini del calcolo delle indennità e dell’importo l’anzianità di servizio del lavoratore che passa alle dipendenze dell’impresa subentrante nell’appalto si computa tenendosi conto di tutto il periodo durante il quale il lavoratore è stato impiegato nell’attività appaltata.

COMPUTO E MISURA DELLE INDENNITÀ PER FRAZIONI DI ANNO:  per le frazioni di anno d’anzianità di servizio, le indennità sono riproporzionate e le frazioni di mese uguali o superiori a quindici giorni si computano come mese intero.

PICCOLE IMPRESE E ORGANIZZAZIONI DI TENDENZA: qualora il datore di lavoro non raggiunga i requisiti dimensionali di cui all’articolo 18 c. 8 e 9 L. n. 300/1970, non si applicano le nuove regole in materia di  licenziamento per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa in cui sia direttamente dimostrata in giudizio l'insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore e l'ammontare delle indennità è dimezzato e non può in ogni caso superare il limite di 6 mensilità.
Ai datori di lavoro non imprenditori, che svolgono senza fine di lucro attività di natura politica, sindacale, culturale, di istruzione ovvero di religione o di culto, si applica la disciplina di cui al presente decreto.


lunedì 16 febbraio 2015

ASSENZE DAL LAVORO: QUANDO NON È NECESSARIO IL BENESTARE DEL DATORE DI LAVORO

Con la sentenza n. 20803 del 12 febbraio 2015, la Corte di Cassazione ha sancito il diritto del lavoratore ad usufruire di giorni di permesso senza autorizzazione del datore di lavoro unicamente in caso di decesso del familiare o del convivente, mentre in ogni altro caso, è necessario il benestare del datore.
Nel caso di specie, il lavoratore contestava la legittimità del licenziamento intimatogli dal datore di lavoro per ripetute assenze non autorizzate in diversi giorni, giustificate dal lavoratore con la fruizione di "giornate di permesso", sostenendo trattarsi di congedi per gravi motivi, di durata non superiore a tre giorni, per i quali l'art 2 d.m. 21 luglio 2000 n. 278 richiedeva soltanto una comunicazione ed imponeva al datore di lavoro di esprimersi entro ventiquattro ore, motivando l'eventuale diniego con eccezionali ragioni organizzative.
Il tribunale rigettava dunque la domanda osservando che la fattispecie in esame, regolata dall'art. 4 della L. n. 53/2000 8 marzo 2000 n. 53, prevedeva, al primo comma, unicamente il caso di decesso o della grave infermità del coniuge o del convivente, mentre il secondo comma, prevedendo il congedo per "gravi e documentati" motivi familiari, prescriveva la preventiva richiesta del lavoratore, seguita da un eventuale periodo di congedo, continuativo o frazionato e non retribuito, non superiore a due anni.