Nel caso in cui l’inquadramento
iniziale sia stato determinato da inesatte dichiarazioni del datore di lavoro è
necessario equiparare questa situazione a quella dell’omessa comunicazione dei
mutamenti intervenuti nell’attività svolta dall’azienda, che, per effetto delle
scelte operate dall’imprenditore, assume caratteristiche tali da comportare una
diversa classificazione ai fini previdenziali, con conseguente legittimità, da
parte Inps, dell’applicazione retroattiva del recupero contributivo.
Tuttavia la questione inerente
la retroattività del diverso inquadramento Inps di un’impresa ai fini
contributivi , pur nei limiti della prescrizione quinquennale, risulta
notevolmente controversa.
Infatti, l’art. 3 c. 8 della
L. n. 335/1995 stabilisce che i provvedimenti di variazione della
classificazione dei datori di lavoro a fini previdenziali, adottati dall’Inps d'ufficio o su richiesta dell’azienda, producono effetti dal periodo di paga
in corso alla data di notifica del provvedimento o della richiesta
dell’interessato. Costituisce eccezione a tale regola, con conseguente
retroattività degli effetti della variazione della classificazione, la sola
ipotesi in cui l’inquadramento iniziale sia stato determinato da inesatte
dichiarazioni del datore di lavoro.
Su tale questione, si è
pronunciata la Corte di Cassazione con sentenza 11 aprile 2014 n. 8558.
Come già affermato dalla
stessa Corte in precedenti occasioni, la disposizione di cui al citato articolo
che disciplina la fattispecie dedotta in giudizio, sancisce testualmente: "I
provvedimenti adottati d’ufficio dall’Inps di variazione della classificazione
dei datori di lavoro ai fini previdenziali, con il conseguente trasferimento
nel settore economico corrispondente alla effettiva attività svolta producono
effetti dal periodo di paga in corso alla data di notifica del provvedimento di
variazione, con esclusione dei casi in cui l’inquadramento iniziale sia stato
determinato da inesatte dichiarazioni del datore di lavoro. In caso di
variazione disposta a seguito di richiesta dell’azienda, gli effetti del
provvedimento decorrono dal periodo di paga in corso alla data della richiesta
stessa. Le variazioni di inquadramento adottate con provvedimenti aventi
efficacia generale riguardanti intere categorie di datori di lavoro producono
effetti, nel rispetto del principio della non retroattività, dalla data fissata
dall’Inps. Le disposizioni di cui al primo e secondo periodo del presente comma
si applicano anche ai rapporti per i quali, alla data di entrata in vigore
della presente legge, pendano controversie non definite con sentenza passata in
giudicato".
La suddetta disposizione,
nella parte in cui stabilisce che i provvedimenti di variazione della
classificazione dei datori di lavoro a fini previdenziali, adottati dall’Inps d'ufficio o su richiesta dell’azienda producono effetti dal periodo di paga in
corso alla data di notifica del provvedimento o della richiesta dell’interessato,
ha valenza generale, è quindi applicabile ad ogni ipotesi di rettifica di
precedenti inquadramenti operata dall’Istituto previdenziale dopo la data di
entrata in vigore della predetta legge o anche prima, nel caso in cui la
modifica, così come attuata, formi oggetto di controversia in corso a quella
stessa data.
L’efficacia ex nunc delle
stesse variazioni ("dal periodo di paga in corso alla data di notifica del
provvedimento di variazione") che ha lo scopo di non imporre, ai datori di
lavoro, le conseguenze sul piano contributivo di eventuali ritardi imputabili
all’Ente previdenziale nell’assicurare, appunto, la corrispondenza della
classificazione, a fini previdenziali, alla effettiva attività degli stessi
datori di lavoro, risulta però espressamente esclusa nei "casi in cui
l’inquadramento iniziale sia stato determinato da inesatte dichiarazioni del
datore di lavoro".
Tale esclusione, riguardante
appunto le ipotesi in cui il ritardo nell’assicurare la corrispondenza della
classificazione, a fini previdenziali, alla effettiva attività dei datori di
lavoro risulti imputabile non a ritardi dell’Ente previdenziale, ma agli stessi
datori di lavoro, risulta del tutto coerente con la ratio della norma.
Inoltre, la deroga deve essere
estesa all’ipotesi di omessa comunicazione, agli Enti previdenziali, di
variazioni della propria attività, da parte del datore di lavoro, in violazione
di obbligo imposto, a pena di sanzione amministrativa.
Questa conclusione risulta
conforme non soltanto alle Cass. 23 maggio 2008, n. 13383 e Cass. 18 giugno
2010, n. 14778, ma anche alla precedente Cass. 17 febbraio 1999, n. 1338, nella
quale è stato affermato che "il caso dell’azienda, la quale, per effetto
delle scelte operate dall’imprenditore, assume caratteristiche tali da
comportare una diversa classificazione ai fini previdenziali, è da equiparare
all’ipotesi delle dichiarazioni inesatte, atteso che, sia pure in un momento
successivo, si realizza discrasia tra l’effettività della situazione e le
dichiarazioni, sulle quali la classificazione iniziale era fondata".
Di conseguenza, è evidente
come le due condotte (le inesatte dichiarazioni del datore di lavoro in merito
all’attività svolta e l’omessa comunicazione dei mutamenti intervenuti
nell’attività stessa) non possano non essere equiparate sia per quanto riguarda
la relativa sanzione amministrativa, sia con riferimento alla produzione
dell’effetto dell’attribuzione della efficacia retroattiva alla variazione
della classificazione che viene conseguentemente disposta dall’Ente
previdenziale.
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