sabato 10 maggio 2014

RETROATTIVITÀ DEL DIVERSO INQUADRAMENTO PREVIDENZIALE INPS

Nel caso in cui l’inquadramento iniziale sia stato determinato da inesatte dichiarazioni del datore di lavoro è necessario equiparare questa situazione a quella dell’omessa comunicazione dei mutamenti intervenuti nell’attività svolta dall’azienda, che, per effetto delle scelte operate dall’imprenditore, assume caratteristiche tali da comportare una diversa classificazione ai fini previdenziali, con conseguente legittimità, da parte Inps, dell’applicazione retroattiva del recupero contributivo.
Tuttavia la questione inerente la retroattività del diverso inquadramento Inps di un’impresa ai fini contributivi , pur nei limiti della prescrizione quinquennale, risulta notevolmente controversa.

Infatti, l’art. 3 c. 8 della L. n. 335/1995 stabilisce che i provvedimenti di variazione della classificazione dei datori di lavoro a fini previdenziali, adottati dall’Inps d'ufficio o su richiesta dell’azienda, producono effetti dal periodo di paga in corso alla data di notifica del provvedimento o della richiesta dell’interessato. Costituisce eccezione a tale regola, con conseguente retroattività degli effetti della variazione della classificazione, la sola ipotesi in cui l’inquadramento iniziale sia stato determinato da inesatte dichiarazioni del datore di lavoro.
Su tale questione, si è pronunciata la Corte di Cassazione con sentenza 11 aprile 2014 n. 8558.
Come già affermato dalla stessa Corte in precedenti occasioni, la disposizione di cui al citato articolo che disciplina la fattispecie dedotta in giudizio, sancisce testualmente: "I provvedimenti adottati d’ufficio dall’Inps di variazione della classificazione dei datori di lavoro ai fini previdenziali, con il conseguente trasferimento nel settore economico corrispondente alla effettiva attività svolta producono effetti dal periodo di paga in corso alla data di notifica del provvedimento di variazione, con esclusione dei casi in cui l’inquadramento iniziale sia stato determinato da inesatte dichiarazioni del datore di lavoro. In caso di variazione disposta a seguito di richiesta dell’azienda, gli effetti del provvedimento decorrono dal periodo di paga in corso alla data della richiesta stessa. Le variazioni di inquadramento adottate con provvedimenti aventi efficacia generale riguardanti intere categorie di datori di lavoro producono effetti, nel rispetto del principio della non retroattività, dalla data fissata dall’Inps. Le disposizioni di cui al primo e secondo periodo del presente comma si applicano anche ai rapporti per i quali, alla data di entrata in vigore della presente legge, pendano controversie non definite con sentenza passata in giudicato".

La suddetta disposizione, nella parte in cui stabilisce che i provvedimenti di variazione della classificazione dei datori di lavoro a fini previdenziali, adottati dall’Inps d'ufficio o su richiesta dell’azienda producono effetti dal periodo di paga in corso alla data di notifica del provvedimento o della richiesta dell’interessato, ha valenza generale, è quindi applicabile ad ogni ipotesi di rettifica di precedenti inquadramenti operata dall’Istituto previdenziale dopo la data di entrata in vigore della predetta legge o anche prima, nel caso in cui la modifica, così come attuata, formi oggetto di controversia in corso a quella stessa data.
L’efficacia ex nunc delle stesse variazioni ("dal periodo di paga in corso alla data di notifica del provvedimento di variazione") che ha lo scopo di non imporre, ai datori di lavoro, le conseguenze sul piano contributivo di eventuali ritardi imputabili all’Ente previdenziale nell’assicurare, appunto, la corrispondenza della classificazione, a fini previdenziali, alla effettiva attività degli stessi datori di lavoro, risulta però espressamente esclusa nei "casi in cui l’inquadramento iniziale sia stato determinato da inesatte dichiarazioni del datore di lavoro".
Tale esclusione, riguardante appunto le ipotesi in cui il ritardo nell’assicurare la corrispondenza della classificazione, a fini previdenziali, alla effettiva attività dei datori di lavoro risulti imputabile non a ritardi dell’Ente previdenziale, ma agli stessi datori di lavoro, risulta del tutto coerente con la ratio della norma.
Inoltre, la deroga deve essere estesa all’ipotesi di omessa comunicazione, agli Enti previdenziali, di variazioni della propria attività, da parte del datore di lavoro, in violazione di obbligo imposto, a pena di sanzione amministrativa.
Questa conclusione risulta conforme non soltanto alle Cass. 23 maggio 2008, n. 13383 e Cass. 18 giugno 2010, n. 14778, ma anche alla precedente Cass. 17 febbraio 1999, n. 1338, nella quale è stato affermato che "il caso dell’azienda, la quale, per effetto delle scelte operate dall’imprenditore, assume caratteristiche tali da comportare una diversa classificazione ai fini previdenziali, è da equiparare all’ipotesi delle dichiarazioni inesatte, atteso che, sia pure in un momento successivo, si realizza discrasia tra l’effettività della situazione e le dichiarazioni, sulle quali la classificazione iniziale era fondata".


Di conseguenza, è evidente come le due condotte (le inesatte dichiarazioni del datore di lavoro in merito all’attività svolta e l’omessa comunicazione dei mutamenti intervenuti nell’attività stessa) non possano non essere equiparate sia per quanto riguarda la relativa sanzione amministrativa, sia con riferimento alla produzione dell’effetto dell’attribuzione della efficacia retroattiva alla variazione della classificazione che viene conseguentemente disposta dall’Ente previdenziale.

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