lunedì 28 febbraio 2011

E’ TRUFFA TIMBRARE IL CARTELLINO ED ABBANDONARE IL POSTO DI LAVORO

Si è molto discusso se integra il reato di falso ideologico in atto pubblico o di truffa consumata la mancata timbratura, da parte del dipendente pubblico, del cartellino segnatempo in occasione di brevi allontanamenti dal luogo di lavoro.

La giurisprudenza di legittimità è ormai consolidata nel ritenere che i cartellini marcatempo, una volta installati, costituiscano prova della presenza sul luogo di lavoro degli intestatari, nel periodo di tempo intercorrente tra l’ora di ingresso e l’ora di uscita, con la conseguente rilevanza delle relative attestazioni, sia ai fini della funzionalità e regolarità del servizio (nel caso in cui gli interessati sia adibiti a funzioni o servizi pubblici) sia ai fini della retribuzione che a ciascuno compete.

L’omessa timbratura del cartellino, in occasione di allontanamenti intermedi del dipendente, impedisce pertanto, a sua volta, il controllo di chi è tenuto alla retribuzione, sulla quantità dell’attività lavorativa prestata, tanto in vista di un recupero del periodo di assenza, tanto in vista di una detrazione correlativa dal compenso mensile.

Sulla questione un minoritario indirizzo giurisprudenziale fa leva, in sostanza, sulla considerazione che la timbratura del cartellino rileva “in via diretta ed immediata ai fini della retribuzione e comunque del regolare svolgimento della prestazione di lavoro e solo indirettamente e mediamente, ai fini del regolare svolgimento del servizio” (Cass. Pen., Sez. V, 9 ottobre 2002, n. 38770).

Tale orientamento è stato quello accreditato da parte della Cassazione a Sezioni Unite.

Infatti, dal momento che la condotta di falsificazione ideologica del dipendente pubblico ufficiale ipotizzata dall’art 479 c.p. deve sostanziarsi in un’attività svolta “nell’esercizio delle sue funzioni“ pubblicistiche, appare necessario dover distinguere, all’interno dell’attività svolta dal dipendente pubblico, “gli atti che sono espressione della pubblica funzione e/o del pubblico servizio e che tendono a conseguire gli obiettivi dell’ente pubblico” da quelli “strettamente attinenti alla prestazione” di lavoro, ed aventi quindi esclusivo rilievo sul piano contrattuale e non anche su quello funzionale.

La falsa rappresentazione della realtà che viene documentata dall’atto pubblico nella fattispecie di falso documentale, deve essere rilevante in relazione della specifica attività del pubblico ufficiale e ciò significa che deve investire un fatto che, in relazione al concreto esercizio della funzione o attribuzione pubblica, abbia la potenzialità di produrre degli effetti giuridici.

Da qui è necessario considerare che i cartellini marcatempo sono destinati ad attestare solo una circostanza materiale che afferisce al rapporto di lavoro tra il pubblico dipendente e la pubblica amministrazione , e in ciò si esauriscono gli effetti, non coinvolgendo manifestazioni dichiarative, attestative o di volontà riferibili alla pubblica amministrazione. Il dipendente pubblico quindi non agisce neppure indirettamente per conto della P.A., ma opera  come mero soggetto privato. Da ciò deve essere precisato che i cartellini marcatempo dei dipendenti pubblici non sono da considerarsi come “atti pubblici”, essendo destinati ad attestare da parte del pubblico dipendente solo una circostanza materiale che afferisce al rapporto di lavoro tra lui e la P.A.

Alla luce di ciò le Sezioni Unite della Cassazione con la sentenza n. 41471, del 30 settembre-28 ottobre 2009, nel risolvere il contrasto registratosi sul punto, hanno avuto modo di affermare che non integra il delitto di falso ideologico in atto pubblico la falsa attestazione del pubblico dipendente circa la sua presenza in ufficio riportata sui cartellini marcatempo, in quanto la natura di tali documenti non può essere considerata pubblica, ma di mera attestazione del dipendente inerente al rapporto di lavoro, soggetto a disciplina privatistica; documenti che per altro non contengono manifestazioni dichiarative o di volontà riferibili alla Pubblica Amministrazione.
Dalla non riconducibilità della fattispecie al delitto di falso ideologico non deriva che un simile condotta non abbia carattere fraudolento: proprio in considerazione della funzione attestativa ed “autocertificativa” che la sottoscrizione del foglio presenza assume agli effetti del rispetto dell’orario di lavoro e dell’espletamento in concreto delle proprie mansioni, qualsiasi condotta  che sia manipolativa delle risultanze di tali attestazioni è di per sé idonea a trarre in inganno la Pubblica Amministrazione circa la sua presenza sul luogo di lavoro.

Quanto poi all’esistenza del danno - la giurisprudenza ha affermato che la funzione dei cartellini segnatempo è quella di costituire la prova della continuativa presenza sul luogo di lavoro del dipendente pubblico tra l’ora di ingresso e l’ora di uscita - deve ritenersi che costituisca comunque una condotta suscettibile di integrare il reato di truffa aggravata quella del dipendente che si allontani temporaneamente dal posto di lavoro senza far risultare, mediante timbratura del cartellino i periodi di assenza, sempre che questi siano da considerare economicamente apprezzabili.

A riguardo, l’ingiustificato protrarsi del periodo di assenza dal posto di lavoro ha realizzato una sospensione di fatto del rapporto di impiego che ha di conseguenza realizzato un danno patrimoniale per l’ente chiamato a retribuire una frazione della prestazione giornaliera che di fatto non è stata effettuata e con l’ulteriore danno correlato alla mancata presenza del dipendente sul luogo di lavoro che ha ripercussioni in relazione alla funzionalità e regolarità del servizio.

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