La
terza sezione penale della Corte di Cassazione, con sentenza n. 3705 del 28
gennaio 2014, ha affermato che la situazione di insolvenza nella quale versa
l’azienda non è sufficiente a liberare dalla responsabilità penale l’amministratore
dell’impresa che ha omesso di versare le ritenute previdenziali sulle
retribuzioni corrisposte ai dipendenti.
Nel
caso di specie, la Suprema Corte ha osservato che il sopravvenuto fallimento
non è sufficiente a giustificare il precedente omesso versamento, in quanto il
datore di lavoro deve ripartire le risorse esistenti nel momento della
corresponsione dei salari in maniera tale da poter onorare i propri obblighi,
pur se ciò potrebbe comportare l’impossibilità di pagare “in toto” le
retribuzioni.
Si
tratta di una sentenza in controtendenza rispetto all’orientamento tenuto da
alcuni Tribunali in materia di omessi versamenti tributari e contributivi a causa
di difficoltà economiche, i quali ritenendo escluso l’elemento soggettivo del
reato considerando che nel periodo in contestazione la società versava in gravi
difficoltà finanziarie, poi culminate nel fallimento intervenuto
successivamente al mancato versamento.
Sulla
base della costante giurisprudenza di legittimità, confermata anche nel caso in
commento, il reato di omesso versamento delle ritenute è caratterizzato da dolo
generico ed integrato dalla consapevole scelta di omettere i versamenti dovuti,
non rilevando il fatto che l’agente tenuto al versamento attraversi una fase di
criticità e destini risorse finanziarie per fare fronte a debiti ritenuti più
urgenti.
Inoltre,
il reato è configurabile anche nel caso in cui si accerti l’esistenza del
successivo stato di insolvenza dell’imprenditore, in quanto è suo onere ripartire
le risorse esistenti al momento di corrispondere le retribuzioni ai lavoratori dipendenti
in modo da poter adempiere all’obbligo del versamento delle ritenute, anche se ciò
possa riflettersi sull’integrale pagamento delle retribuzioni medesime .
È
bene ricordare che la legge affida al datore di lavoro, in quanto debitore delle
retribuzioni nei confronti dei prestatori di lavoro dipendenti, il compito di
detrarre dalle stesse l’importo delle ritenute assistenziali e previdenziali dovute
e di corrisponderlo agli Enti, in qualità di sostituto d’imposta.
In
questa fase, il sostituto adempie contemporaneamente a un obbligo proprio e a
un obbligo altrui.
La
conclusione che se ne trae è che lo stato di insolvenza non libera il sostituto,
dovendo questi adempiere al proprio obbligo di corrispondere le ritenute, così
come adempie a quello di pagare le retribuzioni di cui le ritenute stesse sono
parte; l’imprenditore, in presenza di una situazione economica difficile, non può
addurre a propria discolpa l’assenza dell’elemento psicologico del reato,
ricorrendo in ogni caso il dolo generico.
In
sostanza vengono ribaditi i caratteri di contestualità e di indefettibilità
dell’obbligazione di versamento rispetto al pagamento della retribuzione, mancando
ogni presupposto per invocare l’impossibilità di adempiere all’obbligazione, in
quanto, la punibilità della condotta consta proprio nel mancato accantonamento
delle somme dovute all’Istituto, derivandone che non può ipotizzarsi l’impossibilità
di versamento per fatti sopravvenuti, come possono essere una situazione di illiquidità
della società rappresentata.
A
seguito di quanto sopra esposto, è bene ricordare che il mancato versamento dei contributi dovuti,
entro i termini stabiliti per legge, prevede per il datore di
lavoro/committente un sistema sanzionatorio consistente nell'addebito di somme
aggiuntive - che maturano in relazione al ritardo nel versamento - la cui
misura percentuale, in rapporto al capitale non versato, cambia in relazione
alla tipologia di omissione.
Oggi,
il regime sanzionatorio in materia di inadempienze contributive è disciplinato
dalla L. n. 388/2000 che fornisce un netto criterio distintivo tra omissione ed
evasione contributiva:
·
Secondo
l’art. 116 c. 8 lett. a), della L. n. 388/2000, per omissione contributiva si
intende il mancato o ritardato pagamento dei contributi il cui ammontare è
rilevabile dalle denunce e/o registrazioni obbligatorie;
·
costituisce
invece evasione contributiva quella connessa a registrazioni non effettuate o a
denunce obbligatorie omesse o non conformi al vero. Tale ipotesi si verifica
quando “il datore di lavoro, con l' intenzione specifica di non versare i
contributi o premi, occulta rapporti di lavoro in essere ovvero le retribuzioni
erogate” (art. 116 c. 8 lett. b) L. n. 388/2000.
La
medesima norma, con l’obiettivo di favorire l’eliminazione del lavoro
irregolare, ha rideterminatole sanzioni, a carico di chi non provvede, entro il
termine stabilito, al pagamento di contributi o premi previdenziali ed
assistenziali o vi provvede in misura inferiore a quella dovuta:
·
nel
caso di omissioni contributive il datore di lavoro è tenuto al pagamento di una
sanzione civile, in ragione d’anno, pari al tasso di interesse sulle operazioni
di rifinanziamento principali dell’Eurosistema (ex tasso ufficiale di
riferimento) maggiorato di 5,5 punti fino ad un massimo del 40% dell’importo
dei contributi dovuti e non versati alle scadenze di legge (sanzione civile
pari, ad oggi, al 5,75% in ragione d’anno = tasso di interesse dello 0,25%
maggiorato di 5,5 punti);
·
nel
caso di evasione contributiva il datore di lavoro è tenuto al pagamento di una
sanzione civile pari, in ragione d’anno, al 30% il cui ammontare non può
essere, in ogni caso, superiore al 60% dell’importo della stessa contribuzione
non versata entro la scadenza di legge.
Tuttavia,
se il datore di lavoro denuncia spontaneamente la situazione debitoria prima di
contestazioni o richieste da parte dell'ente impositore e, comunque, non oltre
i 12 mesi dalla scadenza del debito contributivo, provvedendo a versare quanto
dovuto entro i 30 giorni successivi a quello della denuncia spontanea, la
sanzione civile sarà la medesima di quella prevista nel caso di omissione.
Infine,
nell’ipotesi in cui si verifichino delle inadempienze contributive derivanti da
oggettive incertezze connesse a contrastanti orientamenti giurisprudenziali o
amministrativi sulla ricorrenza dell'obbligo contributivo, successivamente
riconosciuto in sede giudiziale o amministrativa, sempreché il pagamento sia
effettuato entro i termini fissati dall’ente impositore, la sanzione civile è
pari al tasso di interesse sulle operazioni di rifinanziamento principali
dell’Eurosistema maggiorato di 5,5 punti percentuali fino a un massimo del 40%
dei contributi non corrisposti alla scadenza (sanzione civile pari, ad oggi, al
5,75% , in ragione d’anno = tasso dello 0,25% maggiorato di 5,5 punti).
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