Le Linee guida varate dalla Conferenza
Permanente Stato-Regioni del 24 gennaio 13 non assorbono tutte le forme di
tirocinio esistenti nel nostro ordinamento e, in diversi settori, come quello
sportivo, le forme di tirocinio “atipiche” sono di gran lunga più utilizzate
rispetto a quelle finalizzate alla formazione e all’orientamento.
Il tirocinio, inteso quale momento di
acquisizione di competenze e conoscenze del mondo del lavoro, ha trovato una regolamentazione
organica dapprima con l’art. 18 della L. n. 196/1997 e successivamente, come
accennato, l’emanazione ad opera della Conferenza Permanente Stato-Regioni
delle Linee guida in materia alle quali le Regioni, nell’esercizio del loro
potere legislativo, sono tenute ad uniformarsi.
In osservanza alle suddette linee guida,
tutte le normative locali hanno recepito il principio secondo cui il tirocinio non
costituisce una forma di lavoro, bensì una metodologia formativa o, in
alternativa, uno strumento di politica attiva finalizzato all’orientamento, all’occupabilità
e all’inserimento/reinserimento nel mercato del lavoro.
Inoltre, è stata confermata la distinzione
tra tirocini curriculari e non curriculari.
Proiettando quanto sopra descritto al mondo
dello sport, si osserva uno scarso utilizzo dei tirocini extra curriculari nel settore
in commento.
La nuova disciplina dei tirocini
s’inserisce all’interno di un sistema regionale delle qualifiche che non è
sempre in grado di aderire perfettamente al mondo dello sport.
Infatti, bisogna considerare che le
Linee guida sopra citate richiedono un progetto formativo indicante “ove
possibile, le figure professionali di riferimento del Repertorio nazionale di
cui all’art. 4 c. 67 L. n.92/2012” e che “nelle more della definizione del
Repertorio nazionale si fa riferimento ai Repertori regionali, ove definiti
dalla Regione ”.
Di conseguenza se si prende a riferimento,
il sistema regionale delle qualifiche, si rileva una lacuna nel riconoscimento
dei profili professionali tipici del mondo dello sport, come ad esempio quelli
propri degli allenatori, istruttori, preparatori atletici, addetti ai campi e
maestri.
Tuttavia è anche opportuno considerare che
l’oggetto del percorso formativo non è il conseguimento di una determinata qualifica
professionale, ma solo l’acquisizione di competenze e conoscenze di una certa
figura professionale, quindi potrebbe essere ritenuto sufficiente che il tirocinante,
oltre a quelle relative alla qualifica di natura sportiva, venga adibito ad
attività che gli consentano di acquisire delle competenze proprie di una delle
qualifiche previste dal sistema regionale e che in qualche modo siano coerenti
con il percorso formativo complessivo.
Infatti, la circostanza che si possa
prescindere dall’indicazione di una delle qualifiche del Repertorio, parrebbe
suffragata dall’inciso “ove possibile”, stante ad indicare la non esaustività
dello stesso nella classificazione delle varie figure professionali.
Per lo stesso motivo, non sussistono
particolari preclusioni per quei profili professionali incentrati su competenze
amministrativo/gestionali, dove si rileva una completa copertura da parte dei vari
Repertori regionali.
Un’altra criticità è costituita dall’assenza
di un sistema di certificazione delle competenze (sia a livello regionale che nazionale)
la quale provoca una perdita di attrattiva nei confronti di tale istituto.
Tale circostanza, cui si aggiunge una
sintomatica autoreferenzialità all’interno del mondo dello sport, ha fatto sì
che le forme di tirocinio più comuni nel settore siano:
• l’alternanza scuola/lavoro (tirocini
curriculari), promossi, in favore degli studenti, dalle varie facoltà universitarie
di scienze motorie o dai licei con indirizzo sportivo;
• finalizzati al completamento di corsi abilitativi
per la pratica di determinate discipline sportive (ad esempio corsi per
istruttori di determinate discipline che, organizzati dalle singole
federazioni, si concludano con un tirocinio presso vari enti di promozione
sportiva).
Con riferimento a queste ultime
tipologie di tirocinio è opportuno considerare che sebbene fuoriescano dall’applicazione
delle Linee guida e dalle singole normative regionali, è bene che anche tali forme
contengano i requisiti fondamentali per essere considerati tali, soprattutto in
ordine alla convenzione quadro tra il soggetto promotore e quello ospitante
nonché la nomina di un tutor che segua il percorso formativo del tirocinante.
Ancor più rilevante è il rispetto della convenzione
che regola il rapporto.
Si rileva che spesso i regolamenti che disciplinano
i corsi abilitanti prevedono che il tirocinante svolga un'attività di mero
osservatore e non di parte attiva nell’erogazione dei servizi che l’associazione/società
sportiva deve garantire ai propri soci e clienti, da cui deriva la mancata
integrazione del tirocinante in chiave nell’organico, nel ciclo produttivo
dell’associazione/società sportiva ospitante.
È poi fondamentale sottolineare che tali
rapporti debbano inevitabilmente essere improntati alla gratuità della prestazione
resa dal tirocinante anche se un minimo rimborso può essere ritenuto compatibile
(è necessario ricordare che la funzione economico/sociale di questi contratti
esclude la causa di scambio tipica dei rapporti ex art.2094 c.c.).
Il rispetto delle citate condizioni
potrebbe rivelarsi determinante ai fini della qualificazione del rapporto, in particolar
modo se si considera che in tali fattispecie non opera la presunzione di
estraneità al lavoro subordinato come per i tirocini extra curriculari.
Infine è opportuno ricordare come anche
per queste tipologie di tirocinio valgono le regole prevenzionistiche di cui al
D.Lgs. n. 81/2008.
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