L’art. 6 c. 2 del Tuir
stabilisce che “i proventi conseguiti in sostituzione di redditi, anche per
effetto di cessione dei relativi crediti, e le indennità conseguite, anche in
forma assicurativa, a titolo di risarcimento di danni consistenti nella perdita
di redditi, esclusi quelli dipendenti da invalidità permanente o da morte,
costituiscono redditi della stessa categoria di quelli sostituiti o perduti“.
Alla luce di quanto sopra
esposto, è possibile eseguire un’analisi del trattamento fiscale di due diverse
fattispecie:
-
nel caso in cui vengano erogate delle somme a
titolo di sostituzione o integrazione del reddito da lavoro, queste saranno
soggette a tassazione (LUCRO CESSANTE);
-
viceversa, nel caso in cui la somma sia erogata
a titolo di risarcimento del danno, intesa come mera reintegrazione
patrimoniale delle perdite subite, questa non sarà tassabile (DANNO EMERGENTE).
In questo modo si è espressa
anche l’Amministrazione finanziaria con
la Risoluzione n. 155/E/2002, secondo la quale, in tema di risarcimento danni o
indennizzi percepiti da un soggetto, vanno assoggettate a tassazione le somme
corrisposte per integrare o sostituire la mancata percezione di redditi di
lavoro, cioè il mancato guadagno, il lucro cessante appunto.
Diversamente, laddove il
risarcimento erogato indennizzi il percettore delle spese sostenute e abbia,
quindi, la funzione di reintegrazione patrimoniale tale somma non sarà soggetta
a tassazione, poiché prevale la funzione reintegrativa del danno subito dal
soggetto leso e manca la finalità sostitutiva o integrativa di eventuali
trattamenti retributivi.
È opportuno ricordare che la
non tassabilità delle somme incassate presupporrà la presenza di una prova
tangibile e documentale circa l’effettiva presenza di un danno emergente (come,
a titolo esemplificativo, la presenza di fatture, ricevute e documenti che ne
attestino e ne quantifichino la portata.
In alcuni casi , però, si
potrebbe rilevare un danno emergente anche senza una rilevante presenza di
prove documentali, come nel caso del risarcimento del danno alla
professionalità e all’immagine patito da un lavoratore derivante da un
demansionamento operato dal datore di lavoro (Cass. Sez. Trib. n. 28887/2008).
Per quanto riguarda il
corretto inquadramento fiscale delle somme erogate a seguito di conciliazione
giudiziale, nel caso in cui quest’ultima si fondi sul quantum, la controversia
non riguarderà la prestazione d’opera bensì il valore attribuibile ad essa; la
somma erogata, quindi, derivando dalla prestazione lavorativa, costituirebbe
reddito di lavoro dipendente. Viceversa, nel caso in cui la conciliazione
riguardi la fondatezza della pretesa, questa costituirà una situazione
giuridica nuova e certa in sostituzione di una precedente incerta.
Nella pratica si assiste ad
alcuni casi in cui:
-
il datore di lavoro, pur non riconoscendo le
pretese dei lavoratori dipendenti, decida di erogare delle somme al solo scopo
di conciliare la controversia;
-
i lavoratori dipendenti, con l’accettazione di
tali somme, si obbligano a rinunciare alla lite giudiziale e a far valere le
proprie pretese.
In questi termini l’accordo
perfezionato assume titolo novativo, qualificandosi come un contratto con il
quale i soggetti interessati sostituiscono un nuovo rapporto a quello
originario ai sensi dell’art. 1965 c. 2 cc, pertanto le somme riconosciute non
hanno la finalità di eliminare l’incertezza oggetto della lite e nemmeno di
rappresentare un riconoscimento di qualsivoglia diritto vantato dal lavoratore,
bensì vengono erogate al solo fine di evitare un eventuale futuro contenzioso
che potrebbe sorgere tra le parti.
In questo caso, dal punto di
vista fiscale, gli effetti del procedimento conciliativo si sostanziano in
un’obbligazione di non fare da parte dei lavoratori dipendenti i quali si
obbligano a non proseguire la controversia a fronte del percepimento di una
determinata somma di denaro, la quale da una parte costituirà un’autonoma
fattispecie impositiva in capo al lavoratore inquadrabile nei redditi diversi
ex art. 67, comma 1, lett. l) del Tuir, facendo insorgere in capo all’erogante
sostituto d’imposta, l’obbligo di effettuare all’atto del pagamento, la
ritenuta a titolo d’acconto ex art. 25 del D.P.R. n. 600/73.
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