sabato 7 giugno 2014

LE PROROGHE NEL CONTRATTO A TERMINE

Tra le novità più importanti con riferimento alla disciplina dei contratti a termine dopo le modifiche introdotte con il D.L. n. 34/2014 convertito nella L. n. 78/2014 è sicuramente opportuno annoverare quella delle proroghe.

-        NORMATIVA ANTE 20 MARZO 2014: la proroga era al singolo contratto e poteva essere prevista anche per un periodo superiore al termine iniziale (entro il tetto massimo dei 36 mesi) a condizione che vi fosse il consenso del lavoratore, che si riferisse alla stessa attività lavorativa e che sussistessero ragioni oggettive.
-        COSA CAMBIA CON LA L. N. 78/2014: superata in fase di conversione la previsione dell’originario D.L. n. 34/2014 che prevedeva 8 proroghe nell’ambito dello stesso contratto, attualmente il numero massimo delle stesse viene stabilito in 5 nell’ambito dei 36 mesi, prescindendo dal numero dei rinnovi contrattuali. Ciò significa che le proroghe devono essere spese nell’arco temporale massimo previsto e non sono più riferite ai singoli contratti a tempo determinato.
Ne deriva che il datore di lavoro può stipulare sia una pluralità di contratti a termine sia attingere alle proroghe e, infine, ricorrendone le condizioni, ricorrere alla possibilità di “sforamento” del termine, con la prosecuzione del rapporto fino a 30 o 50 giorni con le maggiorazioni legali previste dall’art. 5 del D.Lgs. n. 368/2001.
Infatti, è opportuno ricordare che le motivazioni oggettive, determinanti per la legittimità della proroga secondo la previgente normativa, non ci sono più, in coerenza con il fatto che, più in generale, è stato superato il requisito delle ragioni giustificatrici.
Tuttavia, il consenso del lavoratore è sempre richiesto, pertanto nulla è cambiato rispetto al passato.
Inoltre, la proroga deve riguardare la stessa attività lavorativa; in attesa di auspicabili chiarimenti amministrativi è necessario attenersi al rispetto del principio secondo cui il lavoratore possa essere utilizzato, anche in reparti od uffici diversi, soltanto per le mansioni per le quali è stato sottoscritto il contratto originario.
Un’ulteriore novità derivante dalla fine delle ragioni giustificatrici è rappresentata dalla cancellazione del comma 2 dell’art. 4, l’onere della prova della esistenza delle stesse a carico del datore di lavoro, in quanto esso era divenuto superfluo.
Con riferimento alla applicabilità delle nuove regole ai contratti in essere stipulati prima del 21 marzo 2014, con l’introduzione dell’art. 2 bis si afferma che le modifiche apportate con l’art. 1 si applicano esclusivamente ai rapporti di lavoro instaurati a decorrere dalla data citata, fermi restando gli effetti già prodotti dalle disposizioni del D.L. n. 34/2014 (nella versione “ante modifiche”) che è stato in vigore dal 21 marzo al 19 maggio, in applicazione della regola civilistica, secondo la quale, nei contratti, si applicano le regole vigenti al momenti della loro conclusione.
È infine opportuno sottolineare come, operativamente parlando, un attento uso delle proroghe da parte del datore di lavoro può portare ad minor ricorso allo sforamento del termine finale ricordando che tale flessibilità ha un costo pari al 20% di aumento sulla retribuzione riferita ai primi 10 giorni, che sale al 40% a partire dall’undicesimo.
Si rammenta anche che la proroga deve essere comunicata, entro 5 giorni dal momento in cui è iniziata  e che la sanzione per l’inottemperanza, diffidabile nella misura minima, è compresa tra 100 e 500 euro, mentre lo sforamento non va comunicato, essendo venuto meno l’obbligo, peraltro non sanzionato, per effetto della previsione contenuta nel D.L. n. 76/2013, convertito con modificazioni, nella L. n. 99/2013.

La nuova disciplina delle proroghe non riguarda i contratti a termine che sono al di fuori del campo di applicazione del D.Lgs. n. 368/2001, come nel caso dell’assunzione a tempo determinato dei lavoratori in mobilità per un massimo di 12 mesi; tale esclusione dal campo di applicazione è tuttora sancita dall’art. 10 c. 1 lett. c-ter e questo comporta il fatto che tutta una serie di istituti non sono applicabili a tale fattispecie. Ne sono esempi il fatto che il contratto a termine del lavoratore in mobilità non rientri nella sommatoria dei 36 mesi, all’assenza dell’intervallo tra un contratto e l’altro, allo sforamento del termine fissato e alle proroghe le quali, pur nell’arco temporale considerato che è di 12 mesi, potrebbero anche essere più di 5.

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